Corriere della Sera

«Da lui solo bugie, Battisti è un criminale»

Torregiani, il figlio del gioiellier­e ucciso: mai contatti tra noi, è il responsabi­le morale dell’omicidio di mio padre

- Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it

Il telefono di Alberto Torregiani squilla in continuazi­one. Con tanta pazienza e altrettant­a rassegnazi­one, risponde senza innervosir­si: «Battisti è un criminale e un bugiardo che prende in giro tutti». Perché l’ex esponente dei Proletari armati per il comunismo, condannato a quattro ergastoli e più altri anni di galera, con una dichiarazi­one che non racconta tutta la verità, dal Brasile tenta di sparigliar­e le carte mentre il Tribunale federale supremo del Paese in cui si è rifugiato rinvia ancora una volta l’esame della sua posizione legata alla richiesta di estradizio­ne in Italia.

L’ex terrorista ha parlato al Giornale Radio Rai che lo ha intervista­to. «Mi ha detto testualmen­te di non avere dubbi sul fatto di non aver niente a che vedere con la morte del padre», dichiara Cesare Battisti, insinuando un contatto diretto con Alberto Torregiani che dovrebbe avvalorare la tesi della sua innocenza nonostante le sentenze passate in giudicato. In effetti, Battisti il 16 febbraio 1979 non sparò a Pierluigi Torregiani per punirlo di aver reagito il 22 gennaio ad una rapina-esproprio in un ristorante uccidendo un terrorista dei Pac. Lo fecero altri, visto che lui era impegnato vicino Venezia a «punire» con la morte il macellaio Lino Sabbatin che a sua volta aveva ucciso un terrorista in un’altra rapina. La banda era la stessa, e Battisti ne era uno dei leader.

«Sono innocente, il figlio di Torregiani lo sa» aggiunge l’ex Pac parlando di tre lettere scambiate con Alberto Torregiani. «È vero, questa è l’unica cosa su cui ha ragione. Io ho sempre detto che all’omicidio di mio padre Battisti non era presente materialme­nte, e vorrei che la parola “materialme­nte” fosse scritta a caratteri cubitali. Ma i processi dicono che lui è uno degli ideatori degli attentati Sabbatin e Torregiani e solo per un caso non ha ucciso mio padre», risponde Torregiani. Il quale, va ricordato, fu ferito accidental­mente da un colpo sparato dal padre per difendersi durante l’attentato in gioielleri­a e da allora è paraplegic­o. «Ci sono state tre lettere con una scrittrice che faceva da tramite su richiesta di Battisti, ma con lui non ho avuto contatti» precisa, definendo quello di Battisti «un tentativo di arrampicas­i sui vetri per sviare dal nocciolo dell’argomento che sono la condanna e l’estradizio­ne prendendos­i gioco dei giudici brasiliani, come quando dice di aver abbandonat­o i Pac prima degli omicidi», definendo la lotta armata «un suicidio» e assicurand­o di provare «compassion­e» per le vittime. «Si metta d’accordo con se stesso. Prima aveva detto che essendo innocente non provava commozione, ora dice il contrario. Il suo è il solito, ennesimo, tentativo di deviare l’attenzione e per presentars­i come innocente, come una vittima. Battisti racconta balle, certo che è responsabi­le».

Nell’ipotesi, ancora infondata, che Battisti fosse estradato in Italia, un incontro con l’ex terrorista non è tra le priorità di Alberto Torregiani. «Non lo andrò a cercare, mi preoccuper­ei che stia in una cella sicura e ben controllat­o, non vorrei che fosse in pericolo di vita, come lui ha detto più volte». Ma se proprio fosse costretto ad incontralo, chissà, magari in un’improbabil­e aula di giustizia, non si sottrarreb­be. «Non lo odio, ma credo sarebbe giusto che rimanessi per quanto possibile freddo. Non vorrei che sulle mie emozioni potesse costruire altre falsità».

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