Corriere della Sera

In viaggio sulle tracce di Gauguin inquieto alchimista della pittura

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Ricordate Alchimie nell’arte di Antonio Zecchina, uscito da Zanichelli circa tre anni addietro? Spiegava come molti artisti si siano man mano adeguati alle nuove tecnologie e come, oggi, attraverso procedimen­ti scientific­i sia possibile lo scandaglio di molti lavori. Un esempio? All’Art institute di Chicago — che ha un buon numero di olî e grafiche di Gauguin (1848-1903) — hanno decifrato alcune sperimenta­zioni dell’autore di Natività.

Da qui, l’attuale mostra parigina del Gran Palais (sino al 22 gennaio 2018) intitolata Gauguin alchimista: un percorso tematico con circa 200 lavori fra dipinti, sculture, disegni, ceramiche, incisioni e stampe. Naturalmen­te si parte dagli esordi (La fabbrica delle immagini): vita moderna — con un occhio a Degas e Pissarro (che lo classifica fra i «nuovi impression­isti») — e nature morte. Segue il periodo bretone (Il grande atelier) di PontAven e Le Pouldu, dove l’artista — dal 1885 al 1894 — va alla ricerca di una vita primitiva (preludio di quella di Tahiti). «Mi sono fato crescere i capelli e vado in giro come un selvaggio, senza far niente», scrive da Le Pouldu all’amico Bernard, nel 1890. Della Bretagna lo attraggono le leggende e le tradizioni orali, l’arte popolare, le sculture lignee delle chiese e i calvari di pietra dei villaggi, una certa ingenuità dei discendent­i dei Celti. Attorno a lui si coagula un buon numero di artisti di vari Paesi (Bernard, Sérusier, Schuffenec­ker, O’ Connor, Moret, Maufra, Filiger, lewi ski) che formano una sorta di cenacolo. Dipingono paesaggi e scene di vita ordinaria: mietitori, raccoglito­ri di alghe, lavandaie, fattorie, animali. Ed elaborano la natura. Al cosiddetto primitivis­mo fa eco il gusto per l’arte giapponese (con la conseguent­e stesura del colore piatto) e un certo decorativi­smo. Punto di riferiment­o, la pittura prerinasci­mentale. Non per copiarla, «ma per ritrovare la tradizione, riprendere il movimento là dove il Rinascimen­to l’ha interrotto», annoterà Filiger, che si porta dietro copie di Cimabue e di Giotto. A Le Pouldu, Gauguin decora la sua stanza con la riproduzio­ne dell’Annunciazi­one del Beato Angelico e della Nascita di Venere del Botticelli e Bernard e Sérusier vengono più volte in Italia per vedere i primitivi.

Esperienze precedenti di Gauguin? Allievo ufficiale in Marina, agente di Borsa, impiegato delle ferrovie e persino agente segreto a servizio dell’ex ministro monarchico spagnolo Zorrilla, che, in esilio, cerca di organizzar­e (senza fortuna) una rivolta repubblica­na.

Dalla Bretagna a Panama, in Martinica, a Tahiti, alle isole Marchesi (Miti e reinvenzio­ni). Il senso dell’avventura di Gauguin non si manifesta solo spostandos­i da un luogo ad un altro, ma cambiando maniera di dipingere.

Sempre nell’88, di ritorno dalle isole Marchesi, Gauguin accetta l’invito di Van Gogh a raggiunger­lo ad Arles. Per oltre due mesi lavorano insieme: girano per le campagne, per i paesetti circostant­i, dipingono contempora­neamente lo stesso soggetto, bevono alla stessa sorgente, vanno allo stesso bordello. Poi tra i due avviene qualcosa che mina la loro amicizia. Quando, durante una lite, Van Gogh scaglia un bicchiere contro Gauguin, quest’ultimo decide di andarsene. Sul seguito ci sono due versioni. La prima: Vincent segue Paul con rasoio in mano. L’artista francese lo fulmina con lo sguardo, Van Gogh si chiude in casa, si taglia il lobo dell’orecchio sinistro, lo avvolge in un fazzoletto e lo porta ad una delle ragazze del bordello frequentat­o da entrambi.

La seconda versione si deve allo storico dell’arte inglese Martin Bailey nel libro Van Gogh in Provenza: Vincent si taglia il lobo, in preda alla disperazio­ne, dopo avere appreso che il fratello Theo — sostegno morale ed economico — sta per sposare Johanna Bonder (19 mesi dopo, ad Auverssur-Oise, l’autore dei Mangiatori di patate si spara al petto e muore).

A Tahiti, Gauguin ritrova in parte la Bretagna d’un tempo. Vive da selvaggio («Mi sembra che il tumulto della vita europea non esista più e che sarà sempre così […]. Qui gli uomini hanno inventato la parola, “non atou”, che significa “me ne infischio”, frase che qui è di una perfetta naturalezz­a e tranquilli­tà. La uso molto»). Il nuovo paradiso lo coinvolge totalmente ed egli si adegua ai costumi locali (sposa una tredicenne). Dipinge le tahitiane, ma guarda alle civiltà europee, africane ed asiatiche. Attinge persino alla ieraticità egizia.

A Miti e reinvenzio­ni, seguono Nel suo ambiente (ricerche decorative) e Casa del piacere (in digitale). Titolo, quest’ultimo, con cui Mondadori Electa pubblica la storia romanzata, scritta da Agnès Rotschi (pp. 144, 17,90), di un giorno di Gauguin, poco prima della morte avvenuta nelle isole Marchesi.

Gli spostament­i Dalla Bretagna a Tahiti non cambia solo il luogo di residenza ma la maniera di dipingere

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Paul Gauguin (1848-1903), Mahana no atua (Il giorno di Dio), 1894, olio su tela

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