Così pregiato, così introvabile Ma il carpione potrà risorgere
Il pesce è stato salvato in extremis dall’estinzione
In visita a Sirmione, gli ospiti di Catullo ne apprezzarono le carni. Portata d’onore nei banchetti ducali, nel 1464 venne protetto da un decreto della Repubblica di Venezia. Dopo secoli e secoli, tuttavia, l’abbondanza del Salmo Carpio è rimasta solo un mitico ricordo. Specie endemica del lago di Garda, considerato il pesce d’acqua dolce più pregiato al mondo, negli ultimi trent’anni il carpione è pressoché scomparso, finendo mestamente nella lista rossa degli esemplari a rischio estinzione. Ma il ripopolamento è vicino. I ricercatori della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, in Trentino, hanno studiato habitat e processi di riproduzione in cattività, ottenendo il brevetto industriale per l’allevamento.
Responsabile dell’unità di Acquacoltura e idrobiologia della Fondazione Mach, Fernando Lunelli nel 2005 ha iniziato a studiare filogenesi e genetica del carpione. Una storia antica. «Le prime ricette dei signori di Mantova risalgono al 1500», dice. Tracce gastronomiche di una presenza florida. «Attestandoci al pescato dichiarato, le medie storiche oscillavano tra i 400 e i 450 quintali all’anno, con il record del 1956 di 462 quintali». Dal 1985 la popolazione del carpione è evaporata, «tanto da arrivare a 50-100 chili all’anno di oggi».
Le ragioni della progressiva scomparsa nelle acque del Garda sono tuttora dibattute. «È da escludere l’aspetto qualitativo delle acque, il lago è sempre uguale — spiega Lunelli —. Piuttosto, sono cambiati i mezzi della pesca, prima a vela o remi e oggi a motore». Quindi più efficaci nel raggiungere le prede. «A ciò si aggiunge la competizione alimentare: il coregone, introdotto nel Garda nel 1926, si nutre di uova e pesci piccoli». Tra i pasti più graditi, per l’appunto, le uova di carpione.
Definite le premesse, Fondazione Mach e Associazione troticoltori trentini (Astro) hanno unito le competenze. Nel 2013 è stato creato, a quattro mani, il Consorzio trentino di piscicoltura, con un triplice obiettivo: salvare il carpione dall’estinzione, studiarne la biologia e mettere a punto una metodica di riproduzione e allevamento, quindi riportarlo sul mercato. L’attività è stata avviata il primo settembre 2014 in Bassa Valsugana, a Ospedaletto e, nel febbraio 2015, la Fondazione ha ottenuto il brevetto industriale per l’allevamento.
«Complessivamente, nel 2016 si sono ottenuti oltre 110.000 carpioni giovani e quest’anno sono state prodotte circa 700.000 uova», precisa il ricercatore. Quest’estate è partita anche la commercializzazione dei primi esemplari, curata da Astro. Resta solo un passaggio: la reintroduzione nel lago.
Oltre ai risultati in campo ittico, le conoscenze scientifiche della Fondazione Mach vengono quotidianamente trasferite nell’agricoltura. Un esempio su tutti: il sequenziamento del Dna del melo, mappato nel 2010, nel tempo ha consentito il miglioramento genetico delle piante affinché si autodifendano dalle malattie e dagli insetti. L’obiettivo è costituire varietà che riducano gli interventi agrotecnici, per una frutticoltura realmente sostenibile. Da quest’anno, inoltre, Fem e Università degli Studi di Trento hanno lanciato — insieme — il Centro agricoltura alimenti ambiente (C3a) che coordinerà il corso di laurea, fresco di attivazione, in Viticoltura ed enologia.
Al di là dell’attenzione per la viticoltura di montagna, la partnership tra ateneo e Fondazione garantirà un approccio sperimentale. In laboratorio, nei campi della Fondazione (70 ettari) e in cantina. Dalla ricerca alla sua applicazione.
Le fasi di rinascita Fondazione Mach e Astro hanno riavviato l’allevamento e il mercato. Ora resta la reintroduzione nel lago