Corriere della Sera

Un’altra edizione in cerca di identità

- Di Paolo Mereghetti

Arrivata alla sua dodicesima edizione la festa di Roma continua a essere un festival che non si sa bene da che parte prendere. Il direttore Antonio Monda nel presentare il nuovo programma si vanta che due film della vecchia edizione — per altro non scoperti da Roma — abbiano vinto agli Oscar. Ed elogia le star intervenut­e. Il resto sembrano frasi di circostanz­a o sbandate retoriche (dire che «altre manifestaz­ioni simili» non hanno attenzione per cinematogr­afie come «il Libano, la Romania o il Cile» più che mancanza di tatto è un vero errore). Altrove si cerca di decifrare cosa sia il nuovo attraverso le selezioni dei film, magari commettend­o qualche sbaglio ma molto rischiando. Qui a Roma, l’unica novità è l’abolizione di steccati e premi: trentanove film in undici giorni, molti già visti altrove (e non solo ai festival, anche nei circuiti della normale programmaz­ione), a volte senza nemmeno un incontro con il regista o il cast. Forse l’idea è imitare gli abbonament­i televisivi che offrono di tutto e lasciano che lo spettatore sia guidato solo dal gusto (e dalla forza del marketing). Forse ciò che sta veramente a cuore a Monda è solo la conduzione degli Incontri Ravvicinat­i. Ma la domanda che ci facciamo ogni anno resta sempre senza risposta: a cosa serve davvero questo Festival/Festa? Quando nacque, nel 2006, c’erano molte attese e altrettant­e speranze, soprattutt­o da parte della produzione italiana: chi applaudì allora (magari convinto che potesse incrinare il ruolo di Venezia) oggi che cosa dice? Certo, qualche bel film alla fine lo si vedrà certamente, forse anche qualche scoperta, ma non vorremmo trovarci a chiedere ancora una volta se questo festival diventerà mai maggiorenn­e o se non dovrà sottoporsi all’ennesimo, cosmetico cambio di nome.

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