L’amico segreto della regina dietro la maschera puritana
Dopo aver praticamente condannato a morte Oscar Wilde cui sopravvisse pochi mesi (vedi a teatro Atti osceni) pure la puritana regina Vittoria ebbe il suo scandalo privato, il suo personale passaggio in India, come scrive Shrabani Basu nel libro Vittoria e Abdul (Piemme), elaborazione del diario del protagonista musulmano. Ora tradotto in un melò per signore, gradevole, innocuo, spiritoso, scritto meravigliosamente da Lee Hall, diretto da Stephen Frears, regista di Buckingham Palace autore di The Queen: duello di regine, dame, ipocrisie regali.
L’imbolsita dal trucco Judi («M» di 007) fa da mattatrice con la sua mutazione psicosomatica, lo sguardo ferocemente tenero di Vittoria che, molto odiata dopo 60 anni di regno, incontra un bel commesso indiano (la star Ali Fazai) con una moneta in dono.
Il ragazzo farà carriera, da servo a segretario, più di un amico meno di un amore, dividendo la solitudine e qualche slancio con la regal vegliarda, donna di fragile acciaio, fino alla morte nel 1901: è il nuovo che avanza sul perbenismo british col vezzo del potere assoluto. Perfetta, sontuosa macchina di scene e costumi in stile «Downton Abbey», il film gioca su un pezzettino segreto di storia postuma, come l’amicizia della stessa regina (e stessa Dench) con lo stalliere scozzese (La mia regina).
Frears non tenta di attraccare i fatti al presente, certo tiene per l’indiano, che alla fine piange la sua longeva queen, pronto al sorriso per scelta ma alla reverenza per dovere.