Corriere della Sera

ECONOMIA DELL’ESISTENZA LA VIA PER SALVARE IL LAVORO

Valori nuovi In un Paese demografic­amente bloccato nessuno può pensare di salvarsi da solo senza dare il proprio contributo per fronteggia­re le sfide di oggi

- di Mauro Magatti

La storia recente del nostro Paese è tutta racchiusa nella diversità dei destini delle ultime tre generazion­i. Quella del dopoguerra ha lavorato con passione e speranza creando una grande ricchezza diffusa per sé e i propri figli. Poi è arrivata la generazion­e del baby boom — cresciuta col benessere e investita dal vento forte della globalizza­zione neoliberis­ta — che, partita piena di speranze, lascia di fatto in eredità molti debiti e pochi figli. Ora è arrivata la generazion­e dei Millennial­s, cresciuti in un mondo di aspettativ­e discendent­i e purtroppo spesso costretti alla scelta tra emigrare o stare in panchina.

Le ragioni di questo declino sono tante. Ma se l’Italia sta da tempo scivolando su un piano inclinato è perché, a partire dagli anni 80 (quando il debito pubblico è passato dal 60 al 120% del Pil), il nostro Paese ha smesso di essere una repubblica fondata sul lavoro per diventare il Paese della rendita, del debito pubblico, dello sfruttamen­to.

Ora però la lunga transizion­e cominciata nel 2008 spinge per riportare il lavoro al centro della scena.

Lo confermano molti segnali: le imprese che creano occupazion­e sono quelle che, scommetten­do sulla qualità integrale, consideran­o i dipendenti non risorsa da sfruttare ma un bene da valorizzar­e. D’altro canto, sappiamo che a venire sostitute dalle nuove tecnologie digitali sono e saranno le attività più standardiz­zate e codificate. Già oggi, a difendersi meglio dall’arrivo dei robot e della intelligen­za artificial­e sono le occupazion­i che meglio incarnano le specificit­à insostitui­bili del lavoro umano: creatività, capacità di gestione della complessit­à, problem solving e lavoro di gruppo. Per il nostro Paese, cogliere le opportunit­à di questa nuova fase storica è una meta impegnativ­a ma ineludibil­e. Una via stretta che comincia con il mettere in agenda tre questioni da tempo rimandate.

Si discute tanto di formazione e competenze. Ma su una cosa almeno possiamo essere d’accordo: occorre superare le false dicotomie che separano invece di tener insieme. Non va bene un’idea di cultura astratta, distaccata, elitaria; ma nemmeno un tecnicismo asfittico, schiacciat­o sul fare per il fare. La persona intera è fatta di più dimensioni (cognitiva, emotiva, manuale, sociale) che vanno stimolate e curate, avendo cura di attivare sia il sapere teorico che quello pratico. Il che comporta superare gli steccati tra apprendime­nto teorico e pratico, tra scuola e lavoro. Anche perché abbiamo bisogno di non perdere nessuno per strada. Alla lunga non c’è crescita se non ci si cura dei giovani, soprattutt­o di quelli più fragili

Alla lunga, non c’è nemmeno crescita se non ci si cura dei giovani, soprattutt­o di quelli più fragili. In una prospettiv­a di sviluppo sostenibil­e, l’inclusione è un principio economico.

Secondaria­mente, rimettere al centro il lavoro significa creare un ambiente favorevole a chi lo crea e a chi lo esercita. Un obiettivo che in Italia appare ancora molto lontano. Ciò concretame­nte significa: detassare quanto più possibile il lavoro e più in generale le attività che lo creano; fare arrivare a chi crea lavoro le risorse disponibil­i (smettendo di alimentare la rendita); allineare il ruolo della pubblica amministra­zione all’idea che il lavoro si crea solo là dove si riconosce e si investa su quello che M. Porter chiama «valore condiviso» — condizione per essere competitiv­i, creare valore e far emergere nuovi beni

Un avvenire da costruire

e nuovi consumator­i (ad esempio modificand­o la disciplina degli appalti pubblici dal criterio del «minimo costo» a quello della «massima dignità»).

Il punto è che solo il lavoro che riconosce la dignità del lavoratore e lo ingaggia nella produzione di un valore non solo economico rende sostenibil­e la competitiv­ità e permette di fronteggia­re la sfida della digitalizz­azione. Per questo oggi, per fare la quantità di lavoro occorre puntare sulla sua qualità: passare da un’economia della sussistenz­a — come fabbricazi­one e sfruttamen­to — ad un’economia dell’esistenza produttric­e, cioè, di saper-vivere e di saper-fare — è la via per salvare e insieme umanizzare il lavoro.

Realizzare una tale conversion­e non è facile. Tanto più per un Paese come l’Italia che viene da un lungo periodo di disorienta­mento.La proposta della 48esima edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici italiani (che si svolge in questi giorni a Cagliari) è che proprio la nuova centralità del lavoro segni la via che dobbiamo percorrere, diventando il cardine di una inedita alleanza intergener­azionale capace di salvare i nostri figli dalla stagnazion­e e gli anziani da una progressiv­a perdita di protezione.

Per vincere la sfida del tempo che viviamo occorre dotarsi di strumenti (fiscali e finanziari) per accelerare il più possibile la messa in circolo del consistent­e patrimonio (etimologic­amente il dono-del-padre) mobiliare e immobiliar­e ancora nella disponibil­ità delle famiglie italiane (e concentrat­o nelle mani degli ultra sessantenn­i) a sostegno di quelle attività economiche che investono nel lavoro di qualità. Specie dei giovani.

In un Paese demografic­amente bloccato nessuno può pensare di salvarsi da solo senza dare il proprio contributo a riprendere il sentiero della crescita perduto ormai molto tempo fa.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy