LO STUPRO DEL UNA PAGINA RIMOSSA
FRIULI
Caro Aldo, risiedo in via Luigi Cadorna a Domodossola. Tanti vogliono cambiare nome alla mia via perché, mossi da sentimenti apparentemente nobili ma incuranti degli effetti collaterali, non si avvedono dei danni che cagionano a chi, come me, verrebbe costretto al disagio di comunicare il cambio di indirizzo a tutti i suoi corrispondenti, Agenzia delle Entrate compresa. In sostanza, costoro manifestano la stessa idea di insensibilità per il prossimo rimproverata al nostro generale nei confronti della vita della truppa. Semmai, la cosa giusta da proporre è che per il futuro si smetta di intitolare piazze e vie al nome di persone i cui valori potrebbero essere controversi e disconosciuti dalle successive generazioni e ci si contenti di ancorare la toponomastica a toponimi o emblemi memorabili imperituri o per lo meno di lunga memorabilità. Marco Preioni, Domodossola
Caro Marco, per gli stessi motivi Torino rinunciò dopo il crollo del muro a cambiare nome a corso Unione Sovietica. Però paragonarsi (sia pure ironicamente) ai fanti decimati conferma che abbiamo un po’ smarrito il senso dei sacrifici dei nostri nonni. A loro sì stavano rubando il futuro.
DALLA SPAGNA
Venerdì scorso mio fratello Daniel ha subito un incidente mortale mentre visitava la Basilica di Santa Croce a Firenze, accompagnato solo da sua moglie. Vorrei esprimere pubblicamente la nostra gratitudine nei confronti del servizio diplomatico spagnolo, e molto particolarmente al Console onorario di Spagna a Firenze, Sisi Velloso. È intervenuta, fin dal primo momento, con grande dedizione, professionalità e sensibilità in una situazione che sarebbe stata infinitamente molto più complessa per noi senza il suo aiuto. Il ringraziamento va anche alla Polizia municipale, ai servizi medici, al Novotel Firenze e alla stampa che hanno reso più sopportabile questa dura situazione. Tomás Testor Schnell
Barcellona Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
a proposito di Caporetto, c’è un fatto che raramente è stato segnalato di quella temperie: lo stupro, le gravidanze e i parti di quelle donne che furono violentate nei territori che vennero travolti dalla disfatta. Loro e i figli che nacquero — che assomigliavano spesso ai “todesch” — furono vissuti come l’effetto di una colpa e per vederli, dovettero recarsi di nascosto presso gli orfanotrofi. Fatti che ricordano il celebre film ambientato in un convento polacco «Agnus dei», dove la maternità, anche nel caso più lugubre dello stupro, viene vissuta come una dimensione insopprimibile della affettività femminile.
Caro Ubaldo,
La storia è ancora più terribile di come lei la racconta. Ne scrive Mark Thompson ne La guerra bianca (Saggiatore). Alcuni orfanotrofi rifiutarono i «figli del nemico»: non erano orfani, c’era la madre. Si dovette aprire un istituto apposta, il San Filippo Neri di Portogruaro, per accogliere i «piccoli tedeschi»; che morivano di fame, perché non c’era il latte. Allora le mamme andarono, di nascosto dai mariti, ad allattare quelli che erano pur sempre i loro figli, che avevano tenuto nella pancia per nove mesi. E 59 mamme riuscirono a convincere il marito a riprendersi il bambino: «Lo alleveremo come se fosse nostro». Ecco di cosa sono capaci le donne italiane.
L’occupazione della pianura friulana e veneta sino al Piave Immagine scattata da un lettore romano in via dell’Orso. (Inviate le foto, ovviamente scattate da voi, a questi indirizzi: lettere@corriere.it e su Instagram @corriere) fu terribile. Un esercito affamato composto da tedeschi, austriaci, ungheresi, boemi, polacchi, sloveni, croati, bosniaci batteva le campagne alla ricerca di «kruh», pane: una parola slovena e croata (usata anche dai soldati slavi nei nostri campi di prigionia) che fu storpiata in crucchi per definire impropriamente i tedeschi, considerati i nemici naturali. È una pagina oggi del tutto rimossa. Ma le atrocità e le umiliazioni, di cui i fanti italiani furono testimoni spesso impotenti nei giorni terribili di cento anni fa, ebbero la loro importanza nel provocare quella reazione che portò alla tenuta sul Piave e sul Grappa e poi alla vittoria finale. Si combatteva anche perché non venisse fatto alle altre donne italiane quello che stavano subendo molte friulane e venete nell’Italia invasa.
Abbiamo dimenticato i sacrifici dei nostri nonni «Grazie per l’assistenza in occasione della morte di mio fratello a Firenze» LA VOSTRA FOTO