Così si rafforza il partito di Trump
Un fenomeno transitorio, una malattia passeggera della democrazia americana. Così i conservatori che incontri a New York, intellettuali, uomini d’affari ma non solo, parlano di Donald Trump (qualcuno dice anche di vergognarsi e ti chiede scusa per anni di ironie su Berlusconi). Prima o poi il corpo sano del Paese reagirà. Qualcuno brinda alle defezioni in Congresso: John McCain ormai battitore libero e i senatori Flake e Corker che sbattono la porta. Tra un anno non si ricandideranno e fino ad allora saranno una spina nel fianco per il presidente: maggioranza in bilico al Senato. In realtà, anche se per ora ciò complica la navigazione parlamentare del presidente, questi episodi sono il segnale di un rafforzamento della sua presa sul partito. Ideologicamente estraneo al movimento repubblicano col suo nazionalismo populista e antiglobal, il miliardario entrato nove mesi fa alla Casa Bianca sta già trasformando il «Grand Old Party» da GOP in DTP, il partito di Donald Trump. Steve Bannon, stratega di questo cambiamento del Dna della forza politica conservatrice, è uscito dalla Casa Bianca per avere le mani libere: guida, come abbiamo già raccontato, l’assalto di nuovi candidati, gli ultrà della destra, contro i parlamentari dell’establishment conservatore. Rischia di vincere senza dover nemmeno combattere troppo. Basta ascoltare le parole di Flake, al di là della sua indignazione nei confronti di Trump: «Sono un duro, non mollo facilmente, ma non avevo possibilità di prevalere nelle primarie del mio partito. Non dicendo le cose in cui credo: la politica è cambiata». Verrà sostituito da Kelli Ward, candidata di Bannon: un’osteopata seguace dei teorici delle cospirazioni. Lui e Corker non sono casi isolati. Ieri il New York Times ha elencato altri cinque deputati repubblicani moderati che non si ricandideranno per gli stessi motivi. Il capo dei senatori conservatori, Mitch McConnell, tenta una resistenza e Karl Rove, lo stratega di Bush, ricorda il rigetto, 8 anni fa, di alcuni candidati dell’estrema destra dei Tea Party in collegi elettorali solidamente conservatori. Ma stavolta è diverso: Trump tocca sempre temi popolari nel suo elettorato, il free trade dell’establishment non lo è. Intanto molti ex «never Trump» si allineano. Gongola Bannon nella biografia di Keith Koffler (Always the Rebel) di prossima pubblicazione: «Destra o sinistra, io col populismo nazionalista sono dal lato giusto della storia. Come Bernie Sanders, Corbyn in Gran Bretagna o Modi in India».