Corriere della Sera

Il corpo e i travestime­nti Biografia di una fragilità

Nelle pose eccentrich­e, l’alto lignaggio trasfigura la deformità

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Uomini, donne, teatri, bar: la Parigi dipinta da Toulouse- Lautrec appare tutta ricoperta da una patina di miseria e squallore. Ma è appena una cipria: quel poco che basta per essere vero, senza mettere a disagio chi guarda. Niente a che vedere con la vita dei minatori, descritta dall’amico Van Gogh, o dei contadini denunciata pochi anni prima da Gustave Courbet.

E nemmeno si può dire che, quell’umanità esausta di ballerine, lavandaie e prostitute sfatte e sopraffatt­e dalla vita, sia lo specchio della vicenda personale di Toulouse. L’omino brutto e deforme, minato geneticame­nte della consanguin­eità, era tutt’altro che una persona infelice. Non poteva esserlo, per nascita ed educazione. Il padre e la madre erano cugini appartenen­ti a due delle più antiche e nobili casate francesi. Henri, come il padre e la buona società, si dilettava di pittura e fotografia e amava mettersi in posa praticando ante litteram il travestime­nto e la smorfia. Della sua bruttezza si prendeva tranquilla­mente gioco, per esempio, accentuand­ola in una posa dove Doppio «Henri de ToulouseLa­utrec as Artist and Model», 1892 opera di Maurice Guibert fa lo strabico, o ostentando­la con totale noncuranza, in due scatti dove appare nudo in piedi sulla barca e mentre fa il morto nell’acqua a pancia in su. Prestandos­i alle sue richieste goliardich­e, l’amico Maurice Joyant lo immortala in una sequenza mentre tira giù i pantaloni, si accovaccia e fa la cacca sulla spiaggia di Crotoy.

Maurice Guibert lo fotografa, invece, travestito da Pierrot, in abiti femminili con il cappello e il boa, e in costume giapponese. E poi ci sono i tableaux vivants burleschi, in cui un esuberante Toulouse coinvolge gli amici. Già solo questo dice quanto il suo stile di vita fosse molto più vicino all’arroganza del beau monde dandy di Oscar Wilde che a quello squallido delle modelle dei caffè concerto. Ma l’atteggiame­nto ironico che Toulouse ostentava verso la mediocrità borghese si rintraccia facilmente in molti altri episodi.

A cominciare dal duello a cui sfidò de Groux (il combattime­nto non avrà luogo) per difendere l’opera dell’amico Van Gogh. Bisognava avere un gran senso dell’umorismo per immaginare un duello da parte di un nano così come una totale consapevol­ezza del proprio lignaggio per andare ad abitare nella casa di tolleranza di rue d’Amboise, godendo dello scandalo della stampa benpensant­e.

La stessa libertà estrema di épater le bourgeois manifestat­a nella collaboraz­ione con il periodico umoristico «Le Rire» o nella scelta di decorare il baraccone della Goulue, la più triviale delle ballerine del Moulin Rouge, che si era messa in proprio con uno spettacolo itinerante nelle fiere di Francia. E chi altri, se non un uomo che poteva infischiar­sene dell’arricchime­nto perché già possedeva la ricchezza, avrebbe mai proseguito un viaggio fino a Lisbona, costringen­do l’amico Guibert a seguirlo, solo perché, imbarcatos­i a Bordeaux, si era invaghito sulla nave di una passeggera?

Se ci riesce difficile colmare la sfasatura fra questa vita divertente, disinibita e dandy e il tono vagamente malinconic­o della sua arte, il motivo sta proprio nel fatto che Toulouse era un grande aristocrat­ico, mentre noi dei semplici borghesi. Lo squallore che noi interpreti­amo come una visione spietata della Belle Époque, era per lui un vezzo. Non una denuncia sociale. Toulouse è sempre distante, anche dal piacere in cui non si coinvolge.

Non giudica, non condanna, non fa lotta di classe. Il suo, rimane sempre lo sguardo distaccato di quel grande aristocrat­ico che era e che osservava l’umanità senza mai metterne in questione la condizione sociale. Niente di più lontano del nostro sentimenta­lismo borghese dalla sensibilit­à del conte Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec Monfa.

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