I videogiochi ora sono uno sport Ma è giusto?
Losanna, storica decisione del Cio «Ora lotta a doping e scommesse» Il percorso verso le Olimpiadi
Eadesso anche i videogiochi sono uno sport. La decisione è stata presa dal Comitato olimpico, in previsione di entrare a far parte dei Giochi. A patto che vengano rispettati determinati requisiti. Ma, ricorda lo psicoterapeuta Scaparro, l’essenza dello sport è combattere la sedentarietà.
Chissà se in futuro l’ultima gara dell’Olimpiade, il simbolo dei Giochi, non sarà più la maratona ma la sfida in un videogioco. Fantascienza, almeno per ora, tuttavia ieri il Cio, il Comitato olimpico internazionale, ha compiuto un passo non da poco sulle competizioni elettroniche. «Gli eSport competitivi possono essere considerati un’attività sportiva — hanno scritto in un comunicato i vertici del Comitato di Losanna — e i giocatori coinvolti si preparano e allenano con un’intensità che può essere paragonata a quella degli atleti delle discipline tradizionali».
Ottima notizia per ragazzi e appassionati di consolle e joypad: quando i genitori li accuseranno di perdere solo del tempo, avranno solidi argomenti per difendersi.
Il fenomeno sicuramente sta crescendo con ritmi da capogiro. Si stimano attualmente oltre 300 milioni di giocatori (tra occasionali e habitué) che potrebbero quasi raddoppiare nel 2020. E un giro d’affari di oltre 600 milioni di euro tra diritti di trasmissione, sponsor e biglietti per eventi seguitissimi. «Gli eSport sono in forte crescita, in particolare fra i giovani dei vari Paesi, e questo può essere la piattaforma per un coinvolgimento nel movimento olimpico» ha puntualizzato il Cio. Aprendo, ma non troppo. Perché ha anche elencato, a mo’ di monito, tutta una serie di paletti da rispettare, come l’osservanza delle norme su doping, scommesse e possibili manipolazioni, e ancora l’equa presenza di uomini e donne e più in generale il riconoscimento dei valori olimpici.
Insomma la strada è ancora lunga (e lo stesso presidente del Cio, Thomas Bach, in passato non ha nascosto la sua contrarietà), ma ieri quanto meno è stata tracciata una direzione. Il venticinquenne Mattia Guarracino, detto «Lonewolf92», è stato il primo videogiocatore di pallone virtuale (6 titoli italiani, terzo ai mondiali in Corea del 2011) a essere ingaggiato da una vera squadra di serie A, la Sampdoria. Oggi è ovviamente «felicissimo», ma si sentiva un atleta anche prima che lo stabilisse il Cio. «Prima di una gara importante mi alleno cinque o sei ore al giorno. Servono preparazione, abilità e strategia — osserva —. Certo, c’è differenza con l’atletica. Ma anche il tiro con l’arco non è la stessa cosa».
Concorda Nicolò Mirra, detto «Insa», da febbraio videogiocatore della Roma, altro team che ha intuito le potenzialità degli eSports. «Se venite a vedere un torneo assomiglia poco a un videogioco e più a una finale di Champions League. È uno spettacolo vero e proprio, e molti ragazzi preferisco assistere a questo piuttosto che a una partita tradizionale allo stadio».
Ivan Grieco, 25 anni, nome di battaglia «Rampage in the Box», è il commentatore più noto di eSport in Italia: «Finalmente anche il mondo sportivo si accorge che c’è qualcosa di più del puro divertimento. Per esempio, il valore formativo che stanno scoprendo anche le università. E le opportunità di lavoro e di crescita per tanti ragazzi».