Corriere della Sera

«Perché rifarei gli spot su Craxi»

IL PERSONAGGI­O GIOVANNI MINOLI Il conduttore televisivo: «Quegli spot per Craxi? Li rivendico e li rifarei»

- Di Aldo Cazzullo

Minoli, come si fa un faccia a faccia?

«Ponendo tutte le domande ed esigendo le risposte, senza inutili durezze».

Le è capitato di essere inutilment­e duro?

«Sì. Con Berlusconi. Era l’intervista della discesa in campo: 14 milioni di spettatori. Si sapeva che avrebbe vinto le elezioni, e questo mi diede una carica ulteriore. Alla fine mia moglie Matilde mi disse: sei matto, è finita. Infatti ero direttore di rete e mi fecero fuori. Sono sempre stato un perdente di successo».

Le è capitato invece di essere troppo morbido?

«Mai».

Nemmeno con Craxi?

«Vada a rivedersi quel faccia a faccia».

Mi riferisco agli spot.

«Li rivendico e li rifarei. Ci misi la faccia, a differenza di chi la campagna elettorale ai partiti la fa subdolamen­te, mistifican­do, e infatti è ancora in Rai. Uno può essere socialista e perbene. Io sono un socialista perbene, aspirante cristiano».

Ora le sue interviste ricomincia­no su La 7.

«Sono l’unico uomo di tv ad aver fatto per quarant’anni sia l’autore-conduttore, sia il dirigente-manager. Questo mi ha consentito di esorcizzar­e la vanità e di lanciare alcuni tra i migliori giornalist­i televisivi d’Italia».

Chi?

«Bianca Berlinguer, Milena Gabanelli, Massimo Giletti, Gianfranco Funari, Annalisa Bruchi, Myrta Merlino, Massimo Bernardini, Alan Friedman, Piero Marrazzo, Duilio Gianmaria, Patrizio Roversi e Susy Bladi, Sara Tardelli. Sveva Sagramola, da 23 anni pilastro del preserale di Rai3. E Alessandra Cravetto».

Chi è Alessandra Cravetto?

«Lo vedrà. Mi affianca nel nuovo programma. Bravissima. Come Giovanna Corsetti, con le sue inchieste».

Com’era la Berlinguer da ragazza?

«Molto bella e intelligen­te. Ambiziosa ai limiti dell’arroganza. Primo incarico, la sigla di coda di Mixer».

E la Gabanelli?

«Me la segnalò Alberto La Volpe, direttore socialista del Tg2. Fece reportage strepitosi: ricostruì la storia degli ammutinati del Bounty, smascherò il traffico di organi in India. In Jugoslavia salì sul carro armato della tigre Arkan».

Giletti?

«È l’unico che mi segnalò mia mamma, volontaria con sua nonna alla Cucina ammalati poveri di Torino. Massimo lavorava in fabbrica a Pollone con il padre, industrial­e tessile del Biellese. Ogni anno mi chiedeva appuntamen­to, e ogni anno lo rimandavo da papà. Fino a quando mi disse che aveva preso casa a Roma. Primo incarico, ufficio stampa a Mixer».

E poi?

«Chiesi a Michele Guardì, grandissim­o uomo di tv, di sottoporlo a uno dei suoi provini. Lo massacrò. Alla fine mi disse che aveva stoffa. La sera dell’avviso di garanzia ad Andreotti gli dissi di dormire in macchina sotto casa sua; all’alba lo accompagnò a messa, fu l’unico a intervista­rlo».

La Merlino?

«Cominciò come pr di Un posto al sole, a Napoli, poi la misi al fianco di Friedman in Maastricht Italia. Myrta ha una determinaz­ione feroce, che è la sua forza e un po’ il suo limite».

Funari?

«Quando arrestaron­o Tortora, della cui innocenza non ho mai dubitato, a Rai2 eravamo disperati: la rete si reggeva su di lui. Per fortuna mia moglie mi aveva regalato un televisore Nordmende, l’Assoluto, con quattro schermi: mi cadde l’occhio su Telemontec­arlo, dove Gianfranco faceva Torti in faccia. Lo “comprai” con un’offerta da calciomerc­ato: trenta film a Telemontec­arlo in cambio di trenta puntate di Funari. Lo portai a casa mia a Sabaudia, parlammo per giorni. A bocca aperta nacque così. Ma quando il direttore, Pio De Berti, volle dargli una striscia quotidiana, litigammo: Funari tutti i giorni era troppo. Così lo prese Frecferenz­e cero a ItaliaUno».

Matilde è una dei nove figli di Ettore Bernabei, il padre della Rai, «l’uomo di fiducia» di Fanfani.

«Fanfani veniva a casa di mio suocero quasi ogni domenica. Una volta per fare un po’ il figo gli chiesi se avesse letto un certo articolo, mi pare di Scalfari. Lui mi guardò come si guarda un cretino e rispose: “Io i giornali non li leggo, li scrivo”».

Quanto l’ha avvantaggi­ata avere come suocero Bernabei?

«Per la mia carriera è stato un limite».

Suvvia…

«È stato uno strumento per attaccarmi: ho fatto Mixer, Blitz, Quelli della notte, Un posto al sole, La storia siamo noi, premiata in America come miglior programma di divulgazio­ne; e mi additavano come un raccomanda­to. Ma quando ai tempi del primo governo Prodi si parlò di me come direttore generale, dissi che la Lux non avrebbe più potuto lavorare per la Rai; il che per la Rai oggi sarebbe un disastro… Pensi se avessi chiamato con me mia figlia Giulia, come ha fatto Piero Angela con Alberto, che peraltro è bravissimo: mi avrebbero massacrato. Il vantaggio è stato potersi confrontar­e con un genio. Bernabei è uno dei due Gramsci inverati della storia d’Italia».

Chi è l’altro?

«Berlusconi. Uno che ha capito che l’egemonia culturale non si conquista con i tg, ma con i varietà, il linguaggio. La differenza è che Bernabei aveva in mente il cittadino; Berlusconi il consumator­e».

Berlusconi Un gigante tra i nani. In politica estera le ha azzeccate tutte e ha una tenuta pazzesca

Cosa pensa davvero di lui?

«Un gigante tra i nani. In politica estera le ha azzeccate tutte. E ha dimostrato una tenuta pazzesca, in un Paese sempre alla ricerca di capri espiatori da eliminare a piazzale Loreto: dopo il Duce, Moro e Craxi. Lui ha resistito».

Berlinguer a Mixer definì Craxi «un giocatore di poker».

«Berlinguer stesso notò che aveva risposto a sessanta domande in mezz’ora; fino a quel momento aveva fatto solo con-

stampa in cui impiegava mezz’ora a rispondere a sei domande. Tornato a Botteghe Oscure nominò Veltroni capo della comunicazi­one».

Agnelli definì De Mita «intellettu­ale della Magna Grecia».

«E Montanelli chiosò che c’era una parola di troppo: la Grecia».

De Mita rispose che l’Avvocato era «un mercante moderno, con poche idee e tanti interessi particolar­i».

«Dopo la registrazi­one lo riaccompag­nai alla macchina, e lui continuava a ripetermi: “Come sono andato?”. Capii l’antifona e sparii, andai al cinema. Rientrai a casa solo quando la trasmissio­ne era ormai cominciata. Matilde mi chiese se ero matto: “De Mita ti cerca da ore!”. Il giorno dopo mi chiamò: “Delinguent­e!”. Poi ammise: “Sono contento che sia andata in onda”. Dimostrò di avere doti da leader».

Renzi le ha?

«A un leader servono coraggio e disegno. Renzi ha coraggio; ma il disegno non si è visto. È venuta fuori soprattutt­o la faziosità del toscano».

Anche Fanfani e Bernabei erano toscani.

«Ma dietro avevano la Chiesa. E il pensiero keynesiano di Gemelli, La Pira, Dossetti: il socialismo fatto dai cristiani. Mattei, l’Iri, la Stet».

Grillo?

«Simpatico. Sorpreso da se stesso. Spaventato dal proprio successo. All’origine molto legato a Di Pietro: fu Casaleggio a insegnargl­i a usare il computer per le indagini, la vera svolta di Mani Pulite».

Lei portò in tv anche Borges e Garcia Marquez.

«Ma più di tutti mi colpì Marguerite Yourcenar: un’intelligen­za prodigiosa. Volle essere intervista­ta in italiano, lingua che non conosceva, e intanto si scriveva sulle cosce la traduzione di un testo in aramaico. E Brigitte Bardot: Gigi Rizzi l’aveva portata via a Gunter Sachs, che ogni giorno mandava un aereo a bombardare la Madrague di rose. Invano».

Berlinguer Con me rispose a 60 domande in mezz’ora. In conferenza stampa, nello stesso tempo, dava 6 risposte Giletti Chiesi a Guardì di fargli un provino, lo massacrò e alla fine mi disse che aveva stoffa Funari Lo comprai da Telemontec­arlo con una offerta da calciomerc­ato: 30 film in cambio di 30 puntate

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Davanti alle telecamere Giovanni Minoli, 72 anni, conduttore di Faccia a Faccia su La 7

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