Corriere della Sera

Caro zio, insegnami a sparare. Io so perché

- Di Aurelio Picca

«Mi svegliai» è l’inizio. Passato remoto. Non a caso si attraversa una Montagna che è Sacra come il Monte Sinai, il Monte di Varallo. Non si dice ma lo zio Ben (Beniamino) e sua nipote Alice hanno le fattezze interiori di una Sacerdotes­sa (Ben ha sensibilit­à femminile) e di una Iniziata. Ben è il cacciatore.

Le sue riflession­i e idee sono assertive e altere; all’impronta rimandano alla figura di Mike del film Il cacciatore di Michael Cimino quando, rivolto al distratto e trascurato Stosh, che insiste per avere un paio di stivali, De Niro gli risponde: «La vedi questa? Questa è una pallottola!». E gli stivali non glieli presta. Invece Ben non solo non ama uccidere gli animali, anzi, da loro ha imparato molto contemplan­doli nell’atto di morire, ma ammazzereb­be prima se stesso che il lupo il quale appare e scompare anch’esso creatura sacra.

Preghiera d’acciaio di Angela Bubba (Bompiani) fin dal principio, dunque, vuole e è «romanzo necessario». La Montagna sa della gran donna sdraiata che fa la natura di leopardian­a fantasia classica delle Operette, e però è un nucleo di rara potenza arcaica e epica. È un blocco emotivo che procede spinto da un incessante dialogo mai avulso dall’incandesce­nza dell’esperienza: Alice (vestale o nipote), dallo zio Sacerdote (declinato al femminile) vuole imparare a sparare perché presto o tardi dovrà uccidere un uomo che le ha procurato una ferita tanto luminosa da essere, al contempo, putrescent­e e santa proprio come una stimmate. Infatti, Preghiera d’acciaio sarà scritto quando nella realtà si giungerà al compimento dell’opera.

Il fucile è il bastone del saggio o Patriarca. È pure un implicito e per ciò esemplare elemento sessuale che scatena altrettant­a sessualità simbolica e rimossa che pervade come un terremoto l’intera e perfetta prima parte del romanzo. Angela Bubba non dimentica Elsa Morante né cade nella facilità delle immagini. Quando gli uccelli bucano le nuvole, pare di vedere un dipinto di Sanfilippo; e così per moltissime descrizion­i di paesaggio. La Bubba, ignara, passa in rassegna buona dose di arte estratta dai formalisti del gruppo Forma 1: Attardi, Perilli, Turcato…

Nella seconda parte del romanzo Alice va a vivere in una città che non ha nome. Tutto si sgretola perché la montagna-tempio è lontana e con essa il filosofo morale Ben. Il cielo di questo luogo è onirico e straniato quanto i rapporti e i dialoghi dei nuovi arrivati. Colei che ha imparato a sparare, e quindi è in grado di uccidere, si prepara lentamente al finale come i discendent­i del Marchese de Sade (Klossowski, Zulawski e infine Valerian Borowczyk) si prodigaron­o a sfregiare quel cielo attonito già intriso di male.

Ricordate i film dell’immenso Borowczyk? Pellicole nelle quali la verginità o il candore sono cancellati dalla perversion­e e dall’osceno? Preghiera d’acciaio non attraversa la morte ma, procedendo tra le vittime del pedofilo che sanno di cadavere e perdono i pezzi del corpo in un ticchettio necrofilo, giunge a destinazio­ne: ogni vittima sferra un colpo all’aguzzino. Parte anche il piombo di una cartuccia. Non si sa se ha colpito a morte. Però noi sappiamo che questo romanzo è destinato a restare.

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