Corriere della Sera

«I casi di razzismo c’erano anche ai miei tempi Non è stato fatto nulla...»

Thuram: «In Francia l’episodio di Anna Frank non può accadere»

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

«Giusta la mobilitazi­one contro l’antisemiti­smo negli stadi, a costo di rischiare i fischi e nuovi insulti. Non fare niente sarebbe la scelta peggiore». Lilian Thuram è stato il grande difensore della Francia campione del mondo nel 1998 e d’Europa nel 2000, del Parma e della Juventus. Poi ha creato la sua Fondazione contro il razzismo, e il suo impegno continua con i libri «Le mie stelle nere» e «Per l’uguaglianz­a» (editi in Italia da Add). Ha seguito lo scandalo degli adesivi con Anna Frank degli ultrà della Lazio, e lancia un appello La lezione A un mio amico tifoso della Lazio che minimizzav­a gli ho detto: ehi, non puoi parlare così

perché tutti, non solo le società di calcio, reagiscano.

Oggi nei stadi italiani si è tornato a giocare, prima delle partite sono stati letti brani del Diario di Anna Frank. È una reazione efficace secondo lei?

«Tutte le iniziative in questa direzione sono importanti, non c’è altra scelta. Quando succedono situazioni così gravi non si può fare finta di niente. Bisogna fare qualsiasi cosa per fare capire che non ci si comporta così. Qualche giorno fa ho parlato con una persona, un tifoso della Lazio, qua a Parigi. Eravamo un gruppo di amici, tutti stupiti e indignati, ma la cosa strana è che lui ha detto subito ”ehi, guardate che succede anche nelle curve delle altre squadre, non è solo un problema della Lazio”. Gli ho risposto che da tifoso della Lazio per prima cosa avrebbe dovuto riconoscer­e che gli autori degli adesivi con Anna Frank in maglia gialloross­a avevano sbagliato, non provare ad attenuare le colpe dicendo ”ma lo fanno anche gli altri”. Quando ci si sente attaccati si reagisce ma non sempre nel modo giusto. È molto importante combattere l’ideologia che invoca la morte e isolare quelli che fanno gesti così stupidi».

Quando lei giocava in Italia succedevan­o cose simili?

«Sì, già alla mia epoca mi ricordo degli episodi di questo tipo. E siamo di nuovo a parlarne. C’è da chiedersi che cosa hanno fatto e fanno le società, la federazion­e, il governo, per togliere queste manifestaz­ioni di odio dagli stadi».

Il presidente della Lazio, Claudio Lotito, dice di avere emarginato i tifosi violenti e razzisti tanto da subire minacce e da essere costretto a vivere con la scorta.

«Io comunque da ex calciatore e da tifoso di calcio mi chiedo come sia possibile non riuscire a cambiare le cose. Non ho la risposta, però mi sembra incredibil­e».

La magistratu­ra ordinaria dovrebbe intervenir­e in modo più efficace?

«Non so dirlo. Mi chiedo se c’è una vera volontà politica di smetterla con l’odio. Certo che se tra 10 o 20 anni ci ritroverem­o a fare gli stessi discorsi sarà un vero peccato, sarà grave per la società civile e per lo sport».

Nell’ambiente del calcio la storia di Anna Frank è conosciuta? O è anche una questione di ignoranza?

«Basta dire che i razzisti sono stupidi. Difendono una idea Simbolo Lilian Thuram, 45 anni: ha lasciato il calcio giocato nel 2008, a Barcellona (Afp)

La reazione deve iniziare nella vita di tutti i giorni: mai tacere davanti a battute odiose sugli omosessual­i

di società dove si sentono superiori.Stiamo parlando di adulti, almeno in maggioranz­a. Quelli che usano Anna Frank per insultare, sanno esattament­e cos’è il fascismo».

In Francia esiste lo stesso problema?

«No. Il che non vuole dire che dentro gli stadi non ci siano antisemiti, attenzione. Però nessun gruppo potrebbe dare una dimostrazi­one così sfacciata davanti a tutti. Non so se sia per maggiori controlli o per altri motivi, non sono in grado di identifica­re esattament­e le cause. Però in Francia una cosa simile negli stadi è impossibil­e. Perché i politici, i media e la società in generale sarebbero così sconvolti che non potrebbe succedere una seconda volta».

Rispetto ad altri sport il calcio è più colpito?

«Il calcio è lo sport più seguito al mondo. Gli stadi sono immensi. Qualcuno lì dentro ha l’impression­e di perdersi nella folla, di potere fare qualsiasi cosa senza essere individuat­o. Negli altri sport non c’è la politica dentro le curve e il rapporto tra le gli ultrà e le società è meno stretto. Però lo stadio è lo specchio della società. Se in curva troviamo l’antisemiti­smo e il razzismo è perché esistono prima di tutto fuori».

Quindi la reazione deve cominciare fuori degli stadi?

«Io penso che ci debba essere ovunque una educazione intransige­nte contro l’antisemiti­smo e il razzismo. Noi tutti non dovremmo fare passare niente, nella vita di tutti i giorni. Se tu senti un tuo amico che dice qualcosa di sbagliato su un gruppo di persone, devi avere il coraggio di dirgli “guarda che non si fa, non puoi dire questo”. È un compito che abbiamo tutti. Quante volte c’è qualcuno che fa una battuta sugli omosessual­i, per esempio, e quelli che gli stanno intorno si mettono a ridere anche se sanno benissimo che non è giusto? È lo stesso meccanismo. Chi non reagisce, di fatto, accetta».

Questa vicenda è stata seguita all’estero?

«Sì, e mi dispiace perché dà un’immagine sbagliata, negativa dell’Italia. Anche per questo dico che le persone di buona volontà devono prendere le distanze e denunciare questi fatti».

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