Corriere della Sera

Migranti in Libia, 20 Ong italiane entreranno presto nei centri

- F. Bat.

E(Afp, Getty) bbene sì: «In Libia, continuiam­o a puntare sulle Ong». Le polemiche sui taxi del mare non sono alle spalle e le inchieste neppure. Ma l’emergenza è ancora tutta lì. E se da Sabratha o al-Zawiya sembrano diminuire i barconi, il decreto Minniti che quest’estate spaccò il governo (ricordate il dissenso di Delrio?) deve ora risolvere un altro problema umanitario: come evitare che i respinti dall’Italia finiscano a marcire nei lager libici. Da novembre, è l’annuncio di Mario Giro, il viceminist­ro degli Esteri che in questi giorni ha firmato un finanziame­nto di due milioni di euro, l’Italia entrerà nell’inferno dei centri di detenzione. Quella trentina di depositi di scorie umane, madri sole, donne incinte, bambini malnutriti, vecchi abbandonat­i, che hanno bisogno perfino dell’essenziale: acqua, igiene, medicine, cibo. Non tutti i centri, perché quelli gestiti dalle milizie sono spesso fuori controllo: si comincerà dalle prigioni di Tripoli e da alcuni aiuti nel Fezzan. «Abbiamo ottenuto la garanzia che l’Unhcr, dopo tre anni d’assenza, torni nel Paese — spiega Giro —. E non è stato facile, perché la Libia non ha mai firmato le convenzion­i internazio­nali e questi reclusi non sono nemmeno considerat­i profughi».

Accoglienz­a, è una parola grossa. Assistenza, inesistent­e. I centri libici sono una vergogna che per anni s’è finto d’ignorare. Ma ora che tocca al nostro governo occuparsen­e, perché nessun altro lo fa, a qualcuno di fidato bisogna pur affidarsi. Il bando della Farnesina include una ventina di Ong, dal Cesvi a Terre des Hommes, da Gvc a Ccs, da Cefa a Cir, coinvolgen­do anche la Croce rossa italiana. Non tutto l’associazio­nismo è d’accordo: qualcuno per ragioni «ideologich­e», altri per timori sulla sicurezza (all’inizio, non è previsto personale italiano). Medici senza frontiere, per esempio, rifiuta il finanziame­nto governativ­o. «Ma l’obbiettivo dell’intervento è superare l’idea del centro di detenzione — dice Giro —. Perché tutto si può dire, ma non che si vada dentro campi profughi. Queste sono carceri. E al di là di tutte le polemiche di quest’estate, migliaia di poveretti vanno tirati fuori da lì».

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La crisi Pattuglie della polizia per le strade della contea di Kisumu in Kenya, dopo le proteste elettorali. In alto l’attrice Lupita Nyong’o, figlia del governator­e

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