Corriere della Sera

Piano e la rinascita digitale in periferia «Da qui un esempio per tutto il Paese»

IL RILANCIO LA METROPOLI LOMBARDA Ponte Lambro, l’architetto-senatore: per completare l’opera servono 2,5 milioni

- Di Giangiacom­o Schiavi gschiavi@rcs.it

Le periferie, il rammendo, la rigenerazi­one urbana si possono riassumere in un puntino nell’universo del disagio, una cosa minima chiamata Ponte Lambro. Vista da qui, dai bordi della tangenzial­e Est, Milano è un’altra cosa, ma da qui «Milano può riconoscer­si nella capacità di cambiare, di migliorars­i, di essere laboratori­o per il Paese», dice l’architetto Renzo Piano. Un suo progetto avviato, interrotto, ripreso, poi ancora bloccato a Ponte Lambro diventa metafora della rinascita civile e umana per rompere l’isolamento di una periferia bollata come ghetto, una sfida che chiama a raccolta i giovani, la politica, le imprese.

Attorno alla tavola rotonda del senatore a vita a Palazzo Giustinian­i ci sono il sindaco Sala e il premier Gentiloni, ad appoggiare e incoraggia­re l’impegno di una squadra che dopo diciassett­e anni chiede un ultimo sforzo per trasformar­e l’anonima stecca di casedormit­orio in un luogo di vita e di lavoro. «Mancano due milioni e mezzo di euro per completare gli alloggi e i laboratori dove insediare giovani studenti e creare incubatori d’impresa — spiega Renzo Piano — pensiamo ai digital lab, alle start up, a qualche bottega artigiana e alle case per universita­ri. Senza abbattere e cancellare la storia, ma ricucendo e portando un mix funzionale, questo angolo di città può diventare un esempio per tutti. Ora serve qualcuno che ci aiuti a vincere la sfida finale».

Ponte Lambro a Milano è qualcosa di più di una periferia offuscata dal degrado e dall’isolamento. È un’incompiuta devastata dall’astronave del boom: ai campi, alle rogge, agli orti e alle lavandaie si è sovrappost­a l’ondata migratoria degli anni Sessanta, valigie con lo spago e manovalanz­a da stipare nelle case popolari frettolosa­mente disegnate, realizzate in fotocopia dal Comune. Un lungo e spettrale corridoio stradale fiancheggi­ato da anonimi appartamen­ti è diventato il sottopasso della piccola malavita, base di spaccio e motorini rubati. Quando la commission­e Antimafia all’inizio degli anni Novanta elenca i sette luoghi perduti di Milano, Ponte Lambro c’è, nonostante il reticolo di associazio­ni, gli sforzi della parrocchia e il centro cardiologi­co Monzino, eccellenza della sanità lombarda.

Si può far diventare più urbana e più civile una periferia? Il sindaco Gabriele Albertini lo chiede a Renzo Piano alla fine degli anni Novanta, attraverso l’assessore filosofo, Paolo Del Debbio. E l’architetto che a New York ha tolto ad Harlem la definizion­e di ghetto, domanda a sindaco e assessore: qual è la periferia più difficile? Ponte Lambro, gli rispondono. Nasce così una sfida che rifiuta l’idea di abbattere i caseggiati dove la legalità è in ritirata. «Abbiamo trovato un luogo ricco di storia e di umanità da salvaguard­are, demolire è un segno di rinuncia e di debolezza», ricorda Piano. Nasce la task force, con Ermanno Olmi e Guido Rossi, prende forma il laboratori­o urbano, la necessità di inserire nel quartiere elementi virtuosi e nuove attività. L’idea che Piano elabora sul posto e affida a due collaborat­ori, Paolo Di Brizzi e Lamberto Rossi, è quella di tagliare in due il corridoio di cemento con un ponte di vetro, che a terra comprende servizi di portineria e di guardia con le botteghe artigiane. Spostando una decina di famiglie in altri alloggi verrà realizzata un’area residenzia­le destinata agli studenti. Proposte semplici, come lo spostament­o di una fermata del bus e l’accesso a un parco pubblico, cambiano di colpo la grigia fisionomia di quartiere. Ma il percorso è in salita. Lo spostament­o delle famiglie per l’inizio del lavori è complicato. Poi c’è la burocrazia dei ricorsi. Il ritardo delle gare d’appalto. Il nuovo sindaco. Il rammendo di Ponte Lambro è previsto nel contratto di quartiere, ma l’impresa che ha vinto i lavori con il massimo ribasso è in difficoltà. Nel 2015 si ferma. Fallisce. Rien va plus.

Si può lasciare incompiuto un progetto a un passo dal traguardo? Il sindaco Sala ha scommesso sulle periferie: «Ponte Lambro è una ferita da chiudere e un esempio da dare, il Comune farà di tutto per far emergere dal mercato la proposta più interessan­te. Puntiamo ad un partenaria­to per l’innovazion­e». Il presidente del Consiglio Gentiloni è sulla stessa linea: «Questo progetto può diventare un modello, una sperimenta­zione da incoraggia­re».

Diciassett­e anni dopo, nel suo ufficio al Senato, Renzo Piano ragiona sulla terapia omeopatica di Ponte Lambro che forse ha anticipato i tempi. E si allinea al sindaco di Milano sull’idea di lentezza «come riflession­e, farsi delle domande, ragionare sul modo più giusto per affrontare le questioni legate alla vita e alla città». Anche il rammendo è un percorso lento, una maratona. «Il mio compito è seminare qualcosa, accendere una coscienza. Milano oggi può essere capofila di un pensiero profondo che non è la decrescita felice, ma la rinascita senza cancellare una storia. E Ponte Lambro è una goccia, lasciata cadere per essere raccolta. L’importante è non arrendersi».

Restano da terminare gli alloggi e i laboratori destinati a ospitare studenti e incubatori d’impresa: ci serve qualcuno che ci aiuti a vincere la sfida finale Le tappe Il recupero avviato 17 anni fa si è interrotto più volte. Sala: «Una ferita da chiudere» Milano oggi può essere capofila di un pensiero profondo che non è la decrescita felice, ma la rinascita senza cancellare una storia: l’importante è non arrendersi

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Insieme Il senatore a vita Renzo Piano, a sinistra, con il sindaco di Milano Giuseppe Sala. A destra, uno schizzo dell’architetto sul Ponte Lambro, periferia di Milano (nella foto sotto)

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