Corriere della Sera

Così Goethe previde la malattia dei social

- Di Pierluigi Battista

Ma non capita anche a voi di essere colpiti dalla sensazione che tutto sia già stato abbondante­mente detto e scritto, e anche molto meglio di adesso, e che tutti i discorsi che vorrebbero convincerc­i sull’assoluta e inedita ed epocale novità della nostra vita siano in realtà la versione in parole malamente aggiornate di discorsi vecchi, antichi, antichissi­mi? Il ritorno del sempre eguale scambiato per sorprenden­te novità? Per esempio: quanta severa pensosità sul carattere fatuo e pettegolo del mondo che si rispecchia nei social, sull’incandesce­nza intrusiva delle risse che si scatenano per un nonnulla tra le tastiere rabbiose e solitarie, sull’uso psicotico dei commenti che si incendiano nelle discussion­i degradate sul web, sull’uragano di insulti, maldicenze e malignità che si spandono nel regno malato di Internet. E i colti che si lamentano: che tempi, che tempi, mala tempora. Poi però si legge un saggio di Saul Bellow del ’57 compreso nella bellissima raccolta proposta ora dalle edizioni Sur con il titolo Troppe cose a cui pensare (ne ha scritto Alessandro Piperno per La Lettura), in cui ci si imbatte in una perla di Goethe che scriveva all’amico Eckermann: «Quella indisturba­ta, innocente e sonnambuli­stica produzione dalla quale soltanto può fiorire la grandezza, non è più possibile. I nostri talenti sono ormai esposti allo sguardo di tutti. Le critiche quotidiane che appaiono in cinquanta luoghi differenti, e i pettegolez­zi che esse scatenano nel pubblico, prevengono il manifestar­si di ogni produzione davvero profonda. Chi non sa tenersi distante da tutto ciò, e compiere l’atto di forza necessario per isolarsi dagli altri, è perduto». Ecco, duecento anni fa. Scritto con la maestria di Goethe, è il discorso antico che si vorrebbe spacciare per sconvolgen­te originalit­à, la nostalgia di un mondo mai esistito (duecento anni fa!), la lamentazio­ne sulla fine dei bei tempi in cui noi eravamo giovani. Solo che Goethe se lo poteva permettere, noi forse un po’ meno. E poi Goethe aveva praticato il rimedio citato per salvarsi dalla marea soffocante del pettegolez­zo: «l’atto di forza necessario per isolarsi dagli altri». I volontari del necessario isolamento si facciano avanti. Ma non si fa avanti nessuno.

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