Corriere della Sera

Il Milan deve osare non copiare le altre

- Di Mario Sconcerti

Ci sono due campionati. Uno è quello delle prime cinque, molto bello e un po’ monotono. Il secondo è quello del Milan. Siamo indietro sul piano della tattica. Negli altri campionati si va a soggetto, in Inghilterr­a pochi cercano di imitare Guardiola, ognuno cerca la propria via correndo. In Spagna si affidano al singolo. Vi siete mai chiesti perché all’estero sono sempre più veloci di noi? La risposta è semplice: perché i giocatori devono coprire meno spazio dei nostri, quindi fanno metà della fatica. Nessuno ha compiti doppi, difensivi e offensivi. Così, quando tocca a loro, possono scattare. Suso è un esempio limite. Fa solo l’attaccante pur essendo in un ruolo estremamen­te complesso. In Italia non si cerca un’idea di gioco, quella è già data dalla maggioranz­a. Nessuno si scosta dall’idea prevalente. Questa prevede di tenere il pallone, per ottenerlo bisogna giocare in modo orizzontal­e fino alla trequarti degli altri. Ma il problema non è l’idea, qualunque idea è giusta nel calcio. Baggio, Totti, Del Piero erano idee solitarie, inventavan­o. Se un’idea porta allo schema di un gol non è replicabil­e, non è uno schema, è un colpo di fantasia. Quello che cerchiamo di non avere è esattament­e questo, la fantasia. È trasgressi­va. Quando nacque il catenaccio, non nacque dalle grandi squadre, nacque dalle piccole. Era socialismo vero, ridistribu­zione della ricchezza tecnica. Non ho la forza del mio avversario quindi

mi ingegno a contenerlo. Non era una soluzione universale, era però un’idea diversa di gioco. Fu Helenio Herrera a portare ai massimi livelli la soluzione mettendo l’Europa in scacco. Nessuno giocava così tranne noi. L’unicità. Questa è la verità del calcio. Se non l’unicità, almeno la diversità. Oggi giochiamo tutti allo stesso modo, dal Chievo al Bologna, dal Genoa alla Roma. Ma se tutti giocano con lo stesso modello vincerà sempre il più forte, la differenza non verrà dall’applicazio­ne, ma dalla qualità dei giocatori. È quello che sta accadendo oggi. Noi diciamo che una squadra gioca bene quando riesce a imitare il gioco di una grande squadra. Dieci passaggi di fila a centrocamp­o. Poi interviene Icardi, intervengo­no Dzeko, Immobile, Mertens, Higuain. È questa uniformità, questa autentica presa in giro di una tattica bella solo perché comune che invalida i risultati. Perché lo schema, il pressing, il possesso palla, non superano la qualità. E se tutti giochiamo allo stesso modo, vinceranno sempre i migliori. In 54 partite giocate dalle prime 5, ci sono stati solo 4 pareggi, nessuno ha saputo andare oltre un limite naturale.In Italia abbiamo perso il nostro calcolo della diversità. Il Milan sabato è stato bravo per un’ora ma è stato battuto da un giocatore. E allora? Non valeva la pena cercare qualcosa di proprio, meglio, di improprio? Il Napoli lo fa con i suoi triangoli, che a ben vedere servono solo a evitare la pressione alta dei centrocamp­isti avversari. L’Inter con il caratterac­cio flessibile di Spalletti. La Lazio è l’unica idea nuova del nostro calcio, giocatori solo buoni ma applicati a una trama e alla corsa. La Roma è qualcosa che si avvicina. Ma il resto è spirito di conservazi­one dei tecnici, usare per non osare, fare tutti la stessa cosa. È come una moltiplica­zione infinita dei problemi del Milan, che sarebbe una buona squadra, ma vuol giocare come le altre.

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