Russiagate, i primi arresti
Coinvolto l’ex capo della campagna di Trump. Cambio alla Fed: in arrivo Powell
PaulManafort, l’ex capo della campagna elettorale di Trump indagato nel Russiagate, e il suo ex socio Rick Gates, si sono consegnati all’Fbi: dodici i capi di accusa. Tra questi la cospirazione contro gli Usa, dichiarazioni false, riciclaggio e omessa denuncia di conti su banche straniere. Trump si difende: cose vecchie di anni. Cambio alla Fed: arriva Jerome Powell.
WASHINGTON Paul Manafort e Rick Gates sono i primi due imputati del «Russiagate»; George Papadopoulos il primo reo confesso. È la mossa d’apertura del super procuratore Robert Mueller, una scossa di avvertimento per la Casa Bianca.
Ieri mattina Manafort, avvocato e consulente, responsabile per tre mesi della campagna eelettorale di Donald nDonald Trump, si è ppresentato nella sede dell’Fbi di Washington. Poco dopo è arrivato anche il suo partner d’affari Gates, anche lui, per un certo tocerto periodo,id stretto collaboratore di «The Donald». Un modo, evidentemente concordato, per evitare le manette. Insieme hanno ascoltato i dodici capi di imputazione: dall’evasione fiscale al riciclaggio, all’inadempienza delle regole imposte a chi rappresenta interessi di altri Paesi. Manafort, 68 anni, nato nel Connecticut, nonno italiano (Manaforte), presenza fissa nella geografia repubblicana di Washington almeno dal 1976, ora rischia fino a 28 anni di carcere. Nel pomeriggio viene condotto, insieme a Gates, davanti alla Corte: i due si dichiarano «non colpevoli», ottengono gli arresti domiciliari, evitando la cella.
Nessun reato è connesso all’attività politica del 2016. Anche l’addebito più grave, «co- spirazione contro gli Stati Uniti», si riferisce allo «schema» ideato per occultare i guadagni in nero e mascherare le operazioni internazionali di «money laundering». Il lobbista ha accumulato, in combutta con Gates, circa 78 milioni di dollari in nero, smistati in 12 società a Cipro, due nelle isole Granadine e una nel Regno Unito. Ha riciclato 12 milioni di dollari, comprando due case a Manhattan e una ad Arlington, in Virginia, oltre a tre Range Rover, una Mercedes, tappeti, impianti hi-fi, quadri, abiti da 10 mila dollari. L’Fbi contesta violazioni commesse dal 2005 al 2011, con una coda fino al 2016. Al centro delle indagini i rapporti tra Manafort, l’ex presidente dell’Ucraina Viktor Yanukovich, defenestrato nel 2014 dalla rivolta di piazza Maidan. In questo giro, scrive il Washington Post, è coinvolto anche il Podesta Group, studio guidato da Tony Podesta, fratello di John, il capo della campagna elettorale di Hillary Clinton.
Intanto arriva la reazione di Trump, via Twitter: «Scusate, ma tutto questo risale a molti anni fa, prima che Paul Manafort facesse parte della mia campagna. Ma perché l’attenzione non si concentra sulla “Corrotta Hillary” e sui democratici?». Subito dopo il presidente aggiunge: «E comunque non c’è collusione», con i russi si intende.
Ma sempre ieri la Corte distrettuale di Washington ha diffuso un altro rapporto di 14 pagine, sottoscritto da Robert Mueller: il riepilogo dei contatti tra Papadopoulos ed emissari del Ministero degli Esteri russo. L’Fbi, si legge nelle carte, ha indagato sui colloqui del consigliere trumpiano con «un professore» e una donna russa, inizialmente spacciata per la «nipote di Vladimir Putin», ma che era, più semplicemente, un tramite con Mosca. Papadopoulos, 30 anni, studi a Londra, teneva costantemente informati i vertici della Trump Tower, sostenendo che c’era la possibilità di ottenere email compromettenti su Hillary Clinton. Il 27 gennaio il giovane «advisor» di politica estera viene interrogato dagli agenti federali: minimizza le sue manovre, mente su particolari già in mano agli inquirenti. Il 27 luglio 2017 Mueller lo fa arrestare e il 5 ottobre Papadopoulos conferma la ricostruzione del super procuratore, riconoscendo di aver distorto la realtà dei fatti. Per ora dovrà sostenere l’accusa di falsa testimonianza, ma è chiaro che Mueller si sta avvicinando alla parola chiave: collusione.