I ribelli delle Fiandre fanno scuola Ma «l’esule» imbarazza Bruxelles
racchiuso in una sigla, Nva, appunto Alleanza neofiamminga. Che per ora smentisce di averlo invitato. Ma le smentite impallidiscono, davanti a certe memorie e certezze presenti.
L’N-va è sempre stato un esempio, per i «ribelli di Barcellona»: di resistenza tenace, e insieme di sapienti strategie politiche, in una nazione frammentata etnicamente, linguisticamente, economicamente. Sta nei libri di storia: secoli di diffidenza separano i valloni francofoni dai fiamminghi, come e più della gente di Madrid da quella di Barcellona; i primi maggioritari al Sud e a Bruxelles, i secondi nelle nordiche Fiandre, più ricche e fiscalmente «pesanti».
La frattura, certe volte, ha fatto temere un’esplosione violenta: e ancora oggi, se chiedi una birra in certi paesini delle Fiandre, è meglio che la chieda in inglese o in italiano piuttosto che in francese, ad evitare qualche occhiataccia. Ma l’equilibrio precario, alla lunga, ha retto.
Anni fa, l’N-va era solo una formazione quasi marginale, oggi è il primo partito delle Fiandre e anche — per le divisioni fra i francofoni — il più influente del Paese. Il suo obiettivo ufficiale è «difendere gli interessi di 6,5 milioni di fiamminghi», giungere alle «Fiandre indipendenti come Stato membro dell’Unione Europea»: ma finora non ha fatto certi scivoloni precipitosi alla Puigdemont.
Nel governo federale di centrodestra che guida il Belgio, sono dell’N-va il vice premier, due segretari di Stato (fra cui il responsabile dell’immigrazione, Theo Franken, che ha ventilato la possibilità dell’asilo politico a Puigdemont), e due ministri. Il capo carismatico del partito è quel Bart De Wever (letteralmente: «Il tessitore»), sindaco della «capitale dell’economia belga», la ricca Anversa.
Anni fa, veniva fotografato
da una rivista accanto a Cilou Annys, giovane fiamminga appena eletta miss Belgio, che in copertina calpestava la bandiera nazionale: ma nel tempo, «il tessitore» si è distanziato da certi massimalismi. Ora, però, avrà molte castagne bollenti da maneggiare. E come lui, il primo ministro Charles Michel. Perché gli altri partiti della coalizione di centrodestra chiedono a loro due un chiarimento della situazione: Puigdemont avrà davvero l’asilo politico? E a questa domanda, segue una grandinata di attacchi: «gravi conseguenze internazionali», «minaccia alla credibilità del Paese», e così via.
Risultato: il governo federale del Belgio multietnico, che per anni ha resistito a tante bufere, è ora scosso da un’altra bufera giunta da oltreconfine, dalle vicende dei «fratelli» nazionalisti catalani.