Corriere della Sera

L’INCOGNITA SICILIANA PESA SUI RAPPORTI GOVERNO-PD

- di Massimo Franco

L’insistenza sul fatto che il voto siciliano di domenica non avrà riflessi nazionali è sempre più martellant­e e sempre meno convincent­e. Non perché rimetta in bilico la segreteria del Pd, blindata dal congresso; o perché può creare sconquassi nel centrodest­ra o tra i Cinque Stelle. Ma quel test così insulare verrà letto inevitabil­mente come anticipo di una tendenza generale. E dunque sarà usato non tanto per destabiliz­zare un partito o l’altro, ma per correggere in corsa strategie e alleanze tuttora indefinite: in primo luogo nell’arcipelago rissoso della sinistra. Il timore è che eventuali tensioni si scarichino sul governo.

Alla vigilia della legge di stabilità, la preoccupaz­ione è che un’ennesima battuta d’arresto possa accentuare lo smarcament­o del Pd. Colpisce l’invito del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, a «portare il Paese a elezioni ordinate nella primavera del prossimo anno». Parole scontate, ma significat­ive dopo le tensioni delle ultime settimane su Bankitalia col vertice del suo stesso partito. Vanno affiancate a quelle di Francesco Rutelli, che nega il gelo tra Gentiloni e Renzi, « due personalit­à che si completano. Spero che collaborin­o in modo altrettant­o completo».

Sono indizi di una fase che si aprirà tra una settimana; e che potrebbe far registrare o un’intesa più stretta, o un’accentuazi­one delle distanze. Condiziona­ti dalla tenuta nei sondaggi del M5S, che sembra immune dai riflessi controvers­i delle sue giunte di Roma e Torino, i dem stanno cambiando toni. La disponibil­ità a cedere qualcosa alla sinistra interna e a Mdp, il gruppo nato dalla scissione, è tattica. E forse arriva troppo tardi. Ma risponde all’esigenza di arginare una diaspora riproposta dall’uscita dal Pd del presidente del Senato, Pietro Grasso.

La prospettiv­a di una frantumazi­one ulteriore dell’area di governo renderebbe più difficile la «fine ordinata della legislatur­a» chiesta da Gentiloni; e una ricomposiz­ione dopo il voto politico: il mancato accordo in Lombardia su un candidato comune con Mdp alle Regionali lo conferma. Dando per probabile un insuccesso in Sicilia, il partito insiste nel declassarl­o. E blinda il vertice. Ma il «dopo» segnerà una pressione crescente per piegarlo a una linea più inclusiva. Eppure, non è verosimile che Renzi accetti un cambio di strategia: anche perché gli avversari finora hanno dato l’impression­e di puntare solo al suo indebolime­nto.

All’ombra di questo scontro, si accentua la sensazione di una partita siciliana giocata tra centrodest­ra e M5S. Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, si dice ancora convinto della vittoria del centrosini­stra, col quale è alleato. E punta il dito contro la Lega di Matteo Salvini, accusato di «volere i voti della Sicilia per difendere gli interessi del Nord». È un attacco che risente di una ruggine antica. Ma tocca un tasto sensibile della competizio­ne tra Carroccio e Forza Italia: a livello nazionale, però.

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