Corriere della Sera

Legge elettorale, firma a fine settimana Il Quirinale pensa alle urne il 4 marzo

Tra venerdì e sabato l‘ultimo passaggio sul Rosatellum. Per le elezioni l’altra opzione è l’11

- di Marzio Breda

Ancora pochi giorni e, tra venerdì e sabato, si saprà qual è la valutazion­e di Sergio Mattarella sul nuovo sistema elettorale. Due sono i nodi sotto la lente del Quirinale. Gli stessi su cui premono alcune forze politiche, a partire dal Movimento 5 Stelle, che chiedono al capo dello Stato di non firmare. Ma, anche per l’analisi congiunta svolta nel frattempo da un vasto fronte di costituzio­nalisti (su tutti Massimo Luciani, per il quale il Rosatellum bis soffre di diverse criticità e avrebbe potuto «esser scritto molto meglio», senza però giudicarlo «palesement­e e gravemente incostituz­ionale»), è scontato che la legge sia promulgata.

L’unica incognita, comunque improbabil­e, è se il via libera potrà esser accompagna­to da una lettera con la segnalazio­ne di qualche profilo da sanare, secondo una prassi che abbiamo visto consolidar­si nella stagione di Giorgio Napolitano sul Colle. Rilievi magari sul paio di nodi contestati.

Il primo — cavalcato dai 5 Stelle, che non intendono allearsi con nessuno — riguarda le liste che, alla prova delle urne, si attesteran­no sotto il 3 per cento ma sopra l’1. In base al Rosatellum non porteranno in Parlamento propri rappresent­anti, tuttavia, se il partito escluso farà parte di un’alleanza, consegnera­nno i loro consensi in dote alla coalizione, così che quei voti non andranno dispersi.

Il secondo nodo è quello dei cosiddetti nominati, ossia della quota (molto alta) di coloro che saranno candidati dalle segreterie dei partiti, scelta che di fatto condiziona la libertà degli elettori.

Questioni assai dibattute e di cui è facile pensare a iniziative giudiziari­e che investiran­no la Corte costituzio­nale, con i suoi tempi. E sulle quali il potere di Mattarella ha precisi confini perché, come ha ripetuto anche nei giorni scorsi, non è lui il giudice delle leggi. A questo punto gli compete, semmai, predisporr­e una road map per le elezioni. Si sa che, sentiti gli altri vertici istituzion­ali, il capo dello Stato ha già ipotizzato un percorso che prevede lo scioglimen­to delle Camere tra Natale e l’Epifania, in modo da far aprire le urne domenica 4 o domenica 11 marzo. Date in cui ha tenuto conto che la XVII legislatur­a è cominciata

il 15 marzo di cinque anni fa e che a norma di Costituzio­ne quel termine non può esser travalicat­o (tranne in caso di guerra). Anche in questo caso, però, le sue decisioni dipenderan­no da diversi fattori.

Se, infatti, dopo aver varato la Finanziari­a l’inquilino di Palazzo Chigi intendesse lavorare a qualche diverso provvedime­nto (per esempio la legge sullo ius soli o quella appena rinviata sulle mine o qualc h e a l t r a ) , M a t t a re l l a potrebbe dargli respiro fino a

marzo. Per far scattare il tutti a casa entro il 6 gennaio ci vuole insomma un innesco da parte del premier, che formalizzi in Parlamento d’aver esaurito il compito.

Su questo Paolo Gentiloni

si sta mantenendo piuttosto enigmatico. Ieri, da New Delhi, dov’è in missione, ha detto: «Gli sforzi del governo hanno due fattori chiave. Da un lato continuere­mo a lavorare per migliorare le condizioni interne, portando il Paese alla conclusion­e naturale della legislatur­a nella primavera 2018. L’altro punto di riferiment­o ispiratore per noi è il mondo, attraverso l’Europa e attraverso speciali relazioni bilaterali».

I tempi L’ipotesi di sciogliere le Camere tra Natale e l’Epifania, dopo la legge di Stabilità

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