Strangolato di notte un berretto verde Sospetti sui Navy Seal
Un sergente delle forze speciali morto in Mali Indagati gli incursori dell’unità d’elite Team 6
La morte misteriosa di un sergente dei berretti verdi in una casa di Bamako, la capitale del Mali, nella quale viveva con altri militari americani getta un’ombra sulle forze speciali Usa. Dopo una lunga indagine della quale solo ora trapela qualche notizia, infatti, due compagni della vittima, due Navy Seal del celebre Team 6, quello che individuò ed eliminò Osama bin Laden nel suo rifugio pakistano di Abbottabad, sono passati dallo status di testimoni oculari della morte di Logan Melgar a quello di indiziati. Non sono stati ancora incriminati, ma le due «teste di cuoio» sono state fatte rientrare negli Stati Uniti e poste in congedo in attesa di ulteriori sviluppi.
L’episodio, la cui gravità fin qui era stata tenuta segreta, risale al 4 giugno. La prima versione che venne data agli investigatori del Comando Africano del Pentagono (che per motivi di sicurezza non ha sede in Africa ma in Germania) fu quella di un incidente: un soffocamento involontario, mentre i tre provavano mosse di lotta, forse facevano wrestling. Versione poco convincente, anche perché l’incidente mortale sarebbe avvenuto alle 5 di mattina. Ora, nel silenzio delle fonti ufficiali, ci si chiede se si sia trattato di una lite o, peggio, della scoperta da parte della vittima di traffici illegali condotti dai suoi compagni.
Di certo un episodio grave. Una macchia per il Team 6 celebre per le sue operazioni clandestine, ma anche spericolate nei luoghi più rischiosi del mondo: dalla Libia alla Somalia, dallo Yemen alle regioni controllate dall’Isis.
Nelle regioni subsahariane dell’Africa infestate da Al Qaeda
e da gruppi legati all’Isis i Seal operano insieme ai green berets: il loro compito ufficiale è quello di svolgere azioni di intelligence antiterrorismo e di addestramento delle truppe locali. Un caso che fa crescere i sospetti anche su altri episodi
precedenti con morti misteriose di militari americani in missioni segrete. E che contribuisce a mettere sotto una luce diversa anche il recente massacro di quattro soldati americani, e di sei militari del Niger, all’inizio presentato come un agguato teso da terroristi musulmani a una pattuglia in perlustrazione: un’unità della quale facevano parte anche soldati che erano stati compagni del sergente Melgar.
Sull’episodio, del 4 settembre, per quasi due settimane il Pentagono non ha fornito particolari, mentre Donald Trump è finito sotto accusa per non aver preso contatti per ben 12 giorni con le famiglie delle vittime. E, quando finalmente lo ha fatto, ne è venuta fuori la furiosa polemica con la moglie
del green beret La David Johnson che ha riempito per giorni schermi tv e pagine di giornali.
Col passare dei giorni, però, anche qui sono emerse versioni diverse: e i soldati del Niger che hanno partecipato alla missione hanno riferito cose diverse da quanto detto dagli americani. Che non si sarebbero limitati a pattugliare e raccogliere informazioni ma sarebbero andati al di là degli ordini ricevuti mettendosi a inseguire alcuni motociclisti sospettati di essere ribelli del jihad ed infilandosi così in una trappola. Episodi di natura diversa ma che contribuisco ad alimentare le voci che in Congresso chiedono il ritiro dei militari Usa dall’Africa.