«Mia figlia sta con uno sbirro, va uccisa»
Palermo, le intercettazioni del boss che aveva già pianificato il delitto. Sedici le persone arrestate Il rifiuto del fratello che non voleva essere il killer: «Fallo tu che sei il padre, io non mi consumo»
Poteva finire in tragedia, in un massacro con tre morti, la storia di un boss mafioso deciso a far uccidere la figlia perché «sbirra», rea d’essersi innamorata di un carabiniere. Un blitz dell’Arma con 16 arresti ieri a Bagheria, ha evitato il peggio. Bloccando il progetto che nella mente perversa di Pino Scaduto, attivo già ai tempi di Provenzano, avrebbe dovuto avere per killer il figlio Paolo. Trasformando questo trentenne nell’assassino della sorella, Maria Caterina, «colpevole» di avere intrecciato la relazione proibita col maresciallo mentre conviveva con un «picciotto», Giuseppe Tarantino.
Un quadro da vertigini per il padre-padrino che aveva
Rinnegata La colpa della ragazza era quella di avere iniziato una relazione con un carabiniere
deciso di farla finita con una carneficina. Uccidendo la ragazza e i suoi due uomini. Considerati tutti protagonisti di una storiaccia che ostacolava il progetto a lui affidato appena uscito dal carcere, prima dell’estate, di ricostruire i pezzi destrutturati di Cosa nostra.
E avrebbe voluto provarci davvero Pino Scaduto, avendo scalato la carriera criminale anche da vivandiere di Provenzano quando il gran capo era latitante a Bagheria. Ma quella «figlia storta» che non ascoltava i suoi ordini finiva per diventare con i suoi rapporti un’infamia. Non solo. Scaduto s’era pure convinto che alla base di uno dei suoi arresti ci fosse proprio l’ingenua o perfida collaborazione della figlia con quel maresciallo. Quanto bastava per decretare la sentenza di morte affidata però a un killer riluttante, il figlio Paolo, intercettato
dai carabinieri del colonnello Antonio Di Stasio mentre si sfogava con un amico, Michelangelo Fucarino, ripetendo le parole che avrebbe voluto dire al padrepadrino: «Io non lo faccio, il padre sei tu e lo fai tu... io non faccio niente... mi devo consumare io? Consumati tu, io ho trent’anni, non mi consumo».
È come se il diniego fosse così legato più alla paura di finire in carcere che non all’orrore richiesto. Ecco uno dei passaggi chiave del provvedimento del gip Nicola Aiello che ha accolto le richieste del procuratore Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Salvo De Luca facendo rientrare in cella dopo pochi mesi Scaduto e altri 15 boss. Tutti accusati di avere riattivato il canale delle estorsioni a danno di imprenditori e commercianti, nessuno dei quali aveva però denunciato le pressioni. Altra amara considerazione
di un contesto che fatica a mutare nonostante convegni, marce e commemorazioni di Libero Grassi.
L’inchiesta, con le eloquenti intercettazioni sul padre che definisce «sbirra» la figlia, ha anche consentito di rileggere alcune missive di Scaduto alla sorella Maria dal carcere nel 2009. Parlando della figlia: «Questo regalo quando è il momento glielo farò...». E poi mostrando una inesorabile, macabra pazienza: «Glielo faccio ancora molto più bello questo regalo... tempo a tempo che tutto arriva».
I dubbi sono stati confermati poco prima dell’estate quando Scaduto è uscito dal carcere dopo avere scontato la pena al processo Perseo, assolto dalle ipotesi di estorsione. Libero come tanti boss rientrati a casa e sui marciapiedi per «fine pena». Eccolo il boss, implacabile: «Bisogna ammazzare lei e l’amante perché tutto da lei è partito...». Materia di conversazione fra i capimafia di Bagheria. Come accade nel clan con un gregario, Gioacchino Di Bella, ignaro delle cimici, indispettito dalle chiacchiere: «Sono loro nella famiglia, si ammazzano come i cani, a quel “picciutteddu” (Paolo, il ragazzo, ndr) lo stanno facendo diventare... Sua figlia o ha sbagliato o l’ha indovinata... non è sempre sua figlia?».
Quesito che riecheggia nel pianeta mafia ripensando ai precedenti, ai primi anni Ottanta, quando il boss dell’Acquasanta fece uccidere la figlia Lia Pipitone per una relazione extraconiugale e il killer dei corleonesi Giuseppe Lucchese fece massacrare sorella, marito e amante per bloccare il disonore di una tresca a tre. Un modo antico di salvare la «famiglia».