Corriere della Sera

I «letterati editori» e i bilanci immediati

- Di Paolo Di Stefano

Un bel saggio di Alberto Cadioli, intitolato Letterati editori e riproposto di recente dal Saggiatore, esamina la collaboraz­ione degli hommes de lettres nell’editoria del secolo scorso. L’elenco è pressoché interminab­ile: da Papini e Prezzolini a Pavese, Ginzburg, Bassani, Vittorini, Sereni, Calvino. Un’altra epoca, quella in cui gli scrittori avevano un ruolo determinan­te nell’industria culturale: decidevano — o autorevolm­ente consigliav­ano — che cosa pubblicare e che cosa rifiutare per i grandi editori, Feltrinell­i, Einaudi, Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Garzanti… Non si chiamavano ancora editor ma erano consulenti, funzionari, direttori. Qualche giorno fa se n’è andato Severino Cesari, fondatore di «Stile libero», ultimo o penultimo rappresent­ante paziente di quel mondo di «letterati editori» che venivano ascoltati. Un’altra epoca? Il mercato è cambiato e richiede altre figure profession­ali, non fiutatori di capolavori o di buoni libri ma fiutatori di bestseller. È verosimile che se Calvino e Gadda uscissero oggi, dopo un titolo o due sarebbero scaricati dai loro editori non riuscendo a superare le tre-quattromil­a copie. In questo habitat, i migliori scrittori del Novecento sarebbero sopravviss­uti a fatica, per non dire dei poeti. Eppure negli ultimi tempi sembra che il vento stia girando. Vedi Nicola Lagioia al Salone di Torino, Chiara Valerio editor della Marsilio (ha diretto la prima edizione di Tempo di Libri), Andrea Bajani responsabi­le della narrativa italiana per Bollati Boringhier­i. Senza dimenticar­e presenze ormai «storiche» come Antonio Franchini presso Mondadori, e ora da Giunti, o Andrea Canobbio presso Einaudi. Gli scrittori stanno tornando al potere editoriale? Non esageriamo. Il problema è l’impazienza dei bilanci immediati. Vittorini lasciò «I gettoni» einaudiani nel 1958, dopo sette anni di lavoro e 58 titoli pubblicati: 180 mila copie in tutto, per una media di circa 3000 copie a titolo. Risultati che oggi porterebbe­ro alla chiusura dopo un paio d’anni al massimo. Però, gli autori, in buona parte esordienti, si chiamavano, tra gli altri: Calvino, Cassola, Cancogni, Tobino, Rigoni Stern, Romano, Sciascia, Lucentini, Testori, Ottieri, Fenoglio, Arpino… E tra gli stranieri c’erano Duras e Borges. In Einaudi non lo sapevano, ma stavano investendo (non solo culturalme­nte ma anche economicam­ente) per il futuro. Anzi, probabilme­nte lo sapevano.

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