I «letterati editori» e i bilanci immediati
Un bel saggio di Alberto Cadioli, intitolato Letterati editori e riproposto di recente dal Saggiatore, esamina la collaborazione degli hommes de lettres nell’editoria del secolo scorso. L’elenco è pressoché interminabile: da Papini e Prezzolini a Pavese, Ginzburg, Bassani, Vittorini, Sereni, Calvino. Un’altra epoca, quella in cui gli scrittori avevano un ruolo determinante nell’industria culturale: decidevano — o autorevolmente consigliavano — che cosa pubblicare e che cosa rifiutare per i grandi editori, Feltrinelli, Einaudi, Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Garzanti… Non si chiamavano ancora editor ma erano consulenti, funzionari, direttori. Qualche giorno fa se n’è andato Severino Cesari, fondatore di «Stile libero», ultimo o penultimo rappresentante paziente di quel mondo di «letterati editori» che venivano ascoltati. Un’altra epoca? Il mercato è cambiato e richiede altre figure professionali, non fiutatori di capolavori o di buoni libri ma fiutatori di bestseller. È verosimile che se Calvino e Gadda uscissero oggi, dopo un titolo o due sarebbero scaricati dai loro editori non riuscendo a superare le tre-quattromila copie. In questo habitat, i migliori scrittori del Novecento sarebbero sopravvissuti a fatica, per non dire dei poeti. Eppure negli ultimi tempi sembra che il vento stia girando. Vedi Nicola Lagioia al Salone di Torino, Chiara Valerio editor della Marsilio (ha diretto la prima edizione di Tempo di Libri), Andrea Bajani responsabile della narrativa italiana per Bollati Boringhieri. Senza dimenticare presenze ormai «storiche» come Antonio Franchini presso Mondadori, e ora da Giunti, o Andrea Canobbio presso Einaudi. Gli scrittori stanno tornando al potere editoriale? Non esageriamo. Il problema è l’impazienza dei bilanci immediati. Vittorini lasciò «I gettoni» einaudiani nel 1958, dopo sette anni di lavoro e 58 titoli pubblicati: 180 mila copie in tutto, per una media di circa 3000 copie a titolo. Risultati che oggi porterebbero alla chiusura dopo un paio d’anni al massimo. Però, gli autori, in buona parte esordienti, si chiamavano, tra gli altri: Calvino, Cassola, Cancogni, Tobino, Rigoni Stern, Romano, Sciascia, Lucentini, Testori, Ottieri, Fenoglio, Arpino… E tra gli stranieri c’erano Duras e Borges. In Einaudi non lo sapevano, ma stavano investendo (non solo culturalmente ma anche economicamente) per il futuro. Anzi, probabilmente lo sapevano.