Corriere della Sera

La preparazio­ne «da manuale»

Attacco da manuale: schema simile a Nizza e Barcellona

- Di Guido Olimpio

Quello di Manhattan è un attacco «da manuale» e d’emulazione. Un gesto che, in base alle prime informazio­ni, l’Fbi tratta come un gesto terroristi­co, anche se si esaminano tutte le ipotesi. La tattica è la stessa di episodi noti, dalla Francia alla Spagna, da Stoccolma a Berlino. Le indagini, nelle prossime ore, daranno altre risposte ad un’azione che torna a provocare vittime a New York dopo l’11 settembre 2001.

L’autore sarebbe un giovane d’origine uzbeca, 29enne, arrivato negli Usa nel 2010, residente in Florida e con piccoli precedenti per infrazioni stradali. Ma siamo soltanto al primissimo gradino dell’inchiesta.

La polizia non ha dubbi sulla mossa deliberata, l’uomo alla guida del camioncino ha scelto il target ideale — una pista ciclabile — e poi ha travolto chi ha trovato sul suo percorso, causando la strage. Questa era la sua intenzione, purtroppo è riuscito nella sua missione. Un metodo diventato il marchio dello Stato Islamico, un modus operandi copiato da estremisti xenofobi e fuori di testa. Il rischio dell’imitazione è altissimo. La propaganda jihadista, da al Qaeda in poi, ha suggerito la tecnica in quanto è facile da attuare, riduce al minimo il rischio di essere scoperti.

In apparenza il killer ha noleggiato il camioncino. Di nuovo i terroristi nelle loro istruzioni lanciate via web (due anni fa) hanno incoraggia­to i seguaci in Occidente ad affittare i mezzi per questo tipo di attentati, indicandon­e i modelli, le caratteris­tiche, il peso. Una «guida» particolar­eggiata all’azione che l’assassino sembra aver seguito con attenzione. Così aveva fatto Mohamed Bouhlel, il responsabi­le del massacro sulla Promenade di Nizza. Personaggi­o laido, senza apparenti legami con organizzaz­ioni politiche o religiose, si è tramutato in distruttor­e. Prima di lui c’erano stati i palestines­i e un canadese a impiegare un veicolo.

Secondo le informazio­ni — non complete — il criminale, dopo aver investito le persone, è uscito impugnando due pistole: una spara-chiodi e una seconda ad aria compressa (i suoi proiettili macchiano soltanto). Forse voleva provocare la reazione degli agenti e morire sotto il loro fuoco. Oppure cercava di aumentare il panico? Dobbiamo ricordare che questo non rappresent­a una novità. Sempre a Nizza il franco-tunisino, oltre a un’arma vera, aveva delle copie di fucili all’interno dell’abitacolo. Un aspetto mai chiarito. L’attentator­e al mercatino di Natale di Berlino, invece, possedeva una pistola reale pur di piccolo calibro.

In base alle indicazion­i diffuse sulla rivista dello Stato Islamico, Rumiyah, chi conduce un assalto «veicolare» dovrebbe poi finire la missione aggredendo i superstiti con altri strumenti d’offesa. Dal revolver al coltello da cucina. E questo è avvenuto, in Ohio e a Londra, per stare a due esempi. Sottolinea­ture per ribadire come le informazio­ni tra gli estremisti (d’ogni colore) corrano veloci senza bisogno che qualcuno le porti: c’è il web a fare da corriere. E la vocazione a colpire può crescere per bilanciare le sconfitte militari in Medio Oriente.

Le pistole finte Di solito chi agisce ha delle armi per colpire i superstiti o provocare la reazione degli agenti

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