Corriere della Sera

Papadopoul­os e gli altri: la rete del «Russiagate» tra lobbisti e oligarchi dell’Est

Trump sminuisce le rivelazion­i: «George? Solo un bugiardo»

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

E’ una questione di sopravvive­nza politica: Donald Trump rinnega vecchie e nuove conoscenze. Paul Manafort? «Ha lavorato solo per un breve periodo nella campagna elettorale». George Papadopoul­os? «Un bugiardo, un volontario di basso livello».

Un giovane brillante

Racconta una fonte europea al Corriere: Londra, primavera 2016, riceviment­o all’Ambasciata di Israele con diplomatic­i e notabili di tutto il mondo. Tra gli ospiti più coccolati dai padroni di casa c’è un trentenne americano, molto sicuro di sé. Viene dall’Illinois, si è laureato all’University DePaul di Chicago e nel 2010 si è trasferito nella capitale britannica per seguire un master alla London School of Economics. Ha lavorato per qualche think tank e per un po’ di mesi alla campagna elettorale dell’ex neurochiru­rgo Ben Carson. Ma ora si presenta come «advisor di Trump». Molti interlocut­ori lo ascoltano con curiosità, soprattutt­o quando dice: «Appena arrivato alla Casa Bianca Donald straccerà l’accordo nucleare con l’Iran». Questo era il biglietto da visita di George Papadopoul­os. Londra è lo snodo politico-diplomatic­o di gran lunga più importante d’Europa sia per gli americani che per i russi. Qui Papadopoul­os incontra uno strano professore, Joseph Mifsud, direttore onorario dell’Accademia di diplomazia di Londra. I due si vedono diverse volte, una anche in Italia. Il professore ha una proposta per Trump: il ministero degli Esteri russo possiede materiale «compromett­ente» su Hillary Clinton. E’ l’aprile 2016. Papadopoul­os riferisce l’offerta al quartier generale della Trump Tower, aggiungend­o di avere la possibilit­à di organizzar­e un incontro con Vladimir Putin. Torna a New York e partecipa a una riunione agitata: Jeff Sessions boccia su tutta la linea l’idea di un meeting tra «Vladimir e Donald». Sembra un avviso di sfratto anche per Papadopoul­os. Ma non è così. Il giovane entra nella lista dei «cinque consiglier­i» di politica estera annunciata da Trump in un’intervista con il Washington Post. Evidenteme­nte qualcuno che gli dà credito. Ieri Carter Page ha ammesso che «potrebbe essere accaduto» di aver scambiato email con Papadopoul­os. Page, 46 anni, esperto di industria petrolifer­a con grande esperienza in Russia e nell’Asia centrale, faceva parte anche lui del «gruppo dei cinque». Da settimane le indiscrezi­oni a Washington lo indicano come il prossimo nella lista del Super procurator­e Robert Mueller.

George, comunque, va avanti, anche con qualche ingenuità. E alla fine, il 9 giugno del 2016, i russi vengono davvero ricevuti nella Trump Tower. Guida la riunione Donald Trump jr, il primogenit­o del futuro presidente. L’avvocata Natalia Veselnitsk­aya promette rivelazion­i interessan­ti su Hillary Clinton. A quanto pare, però, non c’è nulla di esplosivo. Nella stanza c’è anche il capo della campagna elettorale: Paul Manafort.

Antico sodalizio

Dal 12 maggio del 2017 Netflix trasmette un documentar­io imperdibil­e: «Get me Roger Stone», diretto da Dylan Bank, Daniel DiMauro e Morgan Pehme. È la storia del lobbista più controvers­o di Washington. Ed è anche la ricostruzi­one di un sodalizio cominciato negli anni Ottanta tra figure ora centrali: Stone, Manafort e Donald Trump. Stone e Manafort hanno fondato la società di consulenza che ha fatto milioni di dollari, meritandos­i il soprannome «the torturer’s lobby», la lobby dei torturator­i. Tra i clienti più generosi i dittatori Mobutu, ex Zaire; Ferdinand Marcos, Filippine e il leader della guerriglia angolana Jonas Savimbi.

Stone ha poi lasciato la «ditta», e Manafort ha sviluppato gli affari con la Russia e soprattutt­o l’Ucraina degli oligarchi, i veri padroni del Paese all’epoca del presidente filo russo Viktor Yanukovich (2010-2014), da Dmitry Firtash al più ricco di tutti, Rinat Akhmetov, nel Donbass.

L’Ucraina dell’epoca era anche la piattaform­a ideale per collegarsi al business russo. Tra i clienti di Manafort ecco allora anche Oleg Deripaska, «re dell’alluminio», socio di Roman Abramovic, amico personale di Putin. Manafort avrebbe provato a riattivare il collegamen­to con Deripaska nel 2016. Motivo? L’Fbi sta indagando proprio su questo.

Nel film Roger Stone viene presentato come «l’uomo che ha inventato il Donald Trump politico». E con lui c’è sempre Manafort. I due ricordano «le prime prove», nel 1988 e nel 1996, quando «The Donald» sembrava pronto a correre per la Casa Bianca. Con Roger e Paul in cabina di regia. Davvero difficile liquidare Manafort come un provvisori­o compagno di viaggio.

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A Londra George Papadopoul­os, giovane ambizioso entrato nella lista dei «cinque consiglier­i» di politica estera annunciata da Trump durante la campagna elettorale

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