«Una legge per togliere i figli ai clan»
L’appello del Csm a Parlamento e Guardasigilli: via la potestà ai mafiosi se li educano al crimine
I detenuti condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso al 30 giugno
«Riprendiamoci i nostri ragazzi». Il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha approvato all’unanimità, con il «sì convinto» del vicepresidente Giovanni Legnini, la risoluzione che chiede al Parlamento e al ministero della Giustizia di sostenere ciò che giudici minorili coraggiosi, in zone degradate del Mezzogiorno, hanno già iniziato a fare. Ovvero togliere la potestà genitoriale ai mafiosi che coinvolgono i figli nelle loro attività criminali.
Tanti i «bambini» che, come ha fatto notare il consigliere togato, Antonello Ardituro, «vengono utilizzati nelle piazze dello spaccio o nelle cosiddette “case dei Puffi” a Scampia». Troppi i minori educati ai crimini e a volte addirittura all’omicidio.
Un fenomeno difficile da contrastare perché soprattutto culturale e sociale. Che dovrebbe essere affrontato in sinergia da istituzioni ed enti locali con politiche e investimenti, che non ci sono. Ma che non può essere, per questo, scaricato sui magistrati di frontiera. Lo ha sottolineato ieri il vicepresidente Legnini, plaudendo alla risoluzione della VI commissione: «Il Csm — ha fatto notare il vicepresidente — si mostra capace di intervenire su temi sensibili e sottoporre al legislatore interrogativi e proposte in modo che non siano fatti pesare solo sulle spalle dei giudici questi temi complessi». «La scelta che si fa — rimarca Legnini — è netta: la tutela dell’interesse del minore. E, come in altri casi, si parte dall’esperienza difficile e sofferta di alcuni uffici giudiziari valorosi». «Un lavoro svolto in silenzio e mettendo a rischio la propria incolumità», evidenzia il presidente della VI Ercole Aprile.
Nella risoluzione il Csm invita a considerare «famiglia maltrattante», psicologicamente, quella che spinge i bambini fuori della prospettiva di valori positivi in cui il minore ha il diritto di crescere. Da lì il sostegno a possibili provvedimenti di decadenza della potestà genitoriale, fino alla dichiarazione di adottabilità dei figli dei boss, che «pur costituendo l’extrema ratio», possono divenire «indispensabili per salvaguardare il superiore interesse del minore a uno sviluppo psico-fisico rispettoso dei valori della convivenza civile». Soddisfatto Ernesto Carbone (Pd) che dal 2013 ha proposto alla Camera un ddl che va in questa direzione. D’accordo il capo della Dna, Franco Roberti. E il primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio ammette: «È un problema difficile. Dobbiamo tentarle tutte».