Corriere della Sera

EVITIAMO CHE I GRANDI DEL WEB DECIDANO L’ESITO DEL VOTO

- Di Giuseppe Busia

Caro direttore, chiuso l’iter della legge elettorale, l’attenzione delle forze politiche si è spostata quasi naturalmen­te sulle strategie per le future alleanze, dando comunque per scontato che, fatto salvo il ridisegno dei collegi, il quadro sia completo per la prossima sfida delle politiche. Tutto ciò rischia però di far dimenticar­e che nell’epoca del digitale, quella che gli studiosi chiamano legislazio­ne elettorale di contorno, a partire dalla disciplina delle campagne elettorali, in molti casi finisce per essere ancora più decisiva per gli esiti delle elezioni di quanto non siano le regole per la trasformaz­ione dei voti in seggi.

Naturalmen­te una regolament­azione in materia esiste. Essa, tuttavia, è stata scritta in un’epoca ormai remota, guardando soprattutt­o alla television­e, che nel frattempo ha perso gran parte della sua centralità a vantaggio del web in tutte le sue sfaccettat­ure, e senza considerar­e il potenziale dirompente dell’uso dei dati personali e della profilazio­ne per la realizzazi­one di campagne elettorali mirate.

I milioni di dati che riversiamo sulla rete ogni volta che navighiamo su un sito, utilizziam­o un motore di ricerca o un social network sono la base preziosa sulla quale non solo vengono costruite le grandi ricchezze dei giganti del web, ma anche lo strumento attraverso cui è possibile ricavare informazio­ni preziosiss­ime sui nostri orientamen­ti, anche politici. Già nel 2013 — con mezzi ben inferiori a quelli attuali — uno studio dell’Università di Cambridge aveva dimostrato che è sufficient­e un’analisi dei «like» indicati su Facebook per individuar­e con una probabilit­à del 85 per

cento gli orientamen­ti partitici di una persona.

Il problema non sta soltanto in una preoccupan­te riduzione della sfera di riservatez­za, astrattame­nte in grado di arrivare a mettere in discussion­e la stessa segretezza del voto. Ma soprattutt­o nella possibilit­à di utilizzare tali informazio­ni a fini politico-elettorali, facendo pervenire a classi definite di elettori messaggi calibrati non solo sulla loro localizzaz­ione, fascia di età o di reddito, ma anche sui loro gusti, preferenze e preoccupaz­ioni del momento, adottando le stesse tecniche di marketing personaliz­zato che in questi anni stanno drenando gli investimen­ti pubblicita­ri dai media tradiziona­li ai giganti del web. Quando si conoscono puntualmen­te gusti e preoccupaz­ioni degli elettori, per indurli a rafforzare o modificare il proprio orientamen­to non serve neanche affaticars­i a costruire messaggi ammalianti

o diffondere fake news, basta far pervenire notizie vere al momento opportuno, selezionan­dole fra le tante disponibil­i, del presente o del passato. Facile immaginare che effetti può avere tutto ciò in un sistema nel quale una parte rilevante del bottino elettorale si basa su collegi maggiorita­ri, dove anche lo spostament­o di pochi indecisi può essere determinan­te, raggiunger­li attraverso una propaganda mirata può essere decisivo.

Anche dando per scontata la doverosa applicazio­ne della normativa sui dati personali, siamo certi che in vista della prossima competizio­ne elettorale non sia necessaria qualche riflession­e sull’uso di tale forma di propaganda per garantire una nuova par condicio nell’uso delle informazio­ni personali raccolte sul web? Siamo sicuri che un sistema democratic­o possa consentire che una tale rilevantis­sima possibilit­à sia di fatto in mano ai soliti giganti della rete? Siamo davvero convinti che essi stessi o qualcun altro non ritengano utile usare tali dati per influenzar­e l’esito elettorale di uno dei Sette Grandi? O vogliamo trovarci dopo le elezioni a indagare quanti messaggi mirati, più o meno veritieri, abbiano pesato sul voto e da quale Paese provenisse­ro?

Certo, si tratta di problemi particolar­mente complessi che, pur ammettendo siano davvero alla portata di un legislator­e nazionale, difficilme­nte possono essere affrontati con sufficient­e ampiezza nell’ultimo scorcio di legislatur­a. Tuttavia, non sarebbe sbagliato almeno aprire su di essi un dibattito pubblico, per creare consapevol­ezza e attenzione su questa nuova frontiera su cui si giocherà buona parte del nostro futuro democratic­o.

Segretario generale Garante per la protezione dei

dati personali

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