EVITIAMO CHE I GRANDI DEL WEB DECIDANO L’ESITO DEL VOTO
Caro direttore, chiuso l’iter della legge elettorale, l’attenzione delle forze politiche si è spostata quasi naturalmente sulle strategie per le future alleanze, dando comunque per scontato che, fatto salvo il ridisegno dei collegi, il quadro sia completo per la prossima sfida delle politiche. Tutto ciò rischia però di far dimenticare che nell’epoca del digitale, quella che gli studiosi chiamano legislazione elettorale di contorno, a partire dalla disciplina delle campagne elettorali, in molti casi finisce per essere ancora più decisiva per gli esiti delle elezioni di quanto non siano le regole per la trasformazione dei voti in seggi.
Naturalmente una regolamentazione in materia esiste. Essa, tuttavia, è stata scritta in un’epoca ormai remota, guardando soprattutto alla televisione, che nel frattempo ha perso gran parte della sua centralità a vantaggio del web in tutte le sue sfaccettature, e senza considerare il potenziale dirompente dell’uso dei dati personali e della profilazione per la realizzazione di campagne elettorali mirate.
I milioni di dati che riversiamo sulla rete ogni volta che navighiamo su un sito, utilizziamo un motore di ricerca o un social network sono la base preziosa sulla quale non solo vengono costruite le grandi ricchezze dei giganti del web, ma anche lo strumento attraverso cui è possibile ricavare informazioni preziosissime sui nostri orientamenti, anche politici. Già nel 2013 — con mezzi ben inferiori a quelli attuali — uno studio dell’Università di Cambridge aveva dimostrato che è sufficiente un’analisi dei «like» indicati su Facebook per individuare con una probabilità del 85 per
cento gli orientamenti partitici di una persona.
Il problema non sta soltanto in una preoccupante riduzione della sfera di riservatezza, astrattamente in grado di arrivare a mettere in discussione la stessa segretezza del voto. Ma soprattutto nella possibilità di utilizzare tali informazioni a fini politico-elettorali, facendo pervenire a classi definite di elettori messaggi calibrati non solo sulla loro localizzazione, fascia di età o di reddito, ma anche sui loro gusti, preferenze e preoccupazioni del momento, adottando le stesse tecniche di marketing personalizzato che in questi anni stanno drenando gli investimenti pubblicitari dai media tradizionali ai giganti del web. Quando si conoscono puntualmente gusti e preoccupazioni degli elettori, per indurli a rafforzare o modificare il proprio orientamento non serve neanche affaticarsi a costruire messaggi ammalianti
o diffondere fake news, basta far pervenire notizie vere al momento opportuno, selezionandole fra le tante disponibili, del presente o del passato. Facile immaginare che effetti può avere tutto ciò in un sistema nel quale una parte rilevante del bottino elettorale si basa su collegi maggioritari, dove anche lo spostamento di pochi indecisi può essere determinante, raggiungerli attraverso una propaganda mirata può essere decisivo.
Anche dando per scontata la doverosa applicazione della normativa sui dati personali, siamo certi che in vista della prossima competizione elettorale non sia necessaria qualche riflessione sull’uso di tale forma di propaganda per garantire una nuova par condicio nell’uso delle informazioni personali raccolte sul web? Siamo sicuri che un sistema democratico possa consentire che una tale rilevantissima possibilità sia di fatto in mano ai soliti giganti della rete? Siamo davvero convinti che essi stessi o qualcun altro non ritengano utile usare tali dati per influenzare l’esito elettorale di uno dei Sette Grandi? O vogliamo trovarci dopo le elezioni a indagare quanti messaggi mirati, più o meno veritieri, abbiano pesato sul voto e da quale Paese provenissero?
Certo, si tratta di problemi particolarmente complessi che, pur ammettendo siano davvero alla portata di un legislatore nazionale, difficilmente possono essere affrontati con sufficiente ampiezza nell’ultimo scorcio di legislatura. Tuttavia, non sarebbe sbagliato almeno aprire su di essi un dibattito pubblico, per creare consapevolezza e attenzione su questa nuova frontiera su cui si giocherà buona parte del nostro futuro democratico.
Segretario generale Garante per la protezione dei
dati personali