NELLE SALE GIOCHI TRA LUDOPATICI GELOSI DELLA LORO «SLOT»
I danni dell’azzardo e gli introiti per lo Stato
Dicono che l’eliminazione dai Mondiali di calcio in Russia ci costerà almeno 200 milioni (mancato acquisto televisori, minori consumi, assenza campagne pubblicitarie mirate). Il gioco d’azzardo, in un anno, ci costa 19 miliardi. Come essere eliminati 95 volte. Se anche Gian Piero si mette d’impegno, riuscirci è impossibile.
E 19 miliardi è solo la somma che perdono i giocatori (metà va allo Stato). Il totale delle cifre giocate è molto più alto: i 4 miliardi del 2000 sono diventati 96 miliardi nel 2016, pari al 4% del prodotto interno lordo. Spenderemmo lo stesso per mettere in sicurezza tutte le case degli italiani. Spendiamo lo stesso importo per l’istruzione. Con una differenza: nel campo della scuola siamo nelle posizioni di coda in Europa, come spesa pro capite; nel gioco d’azzardo ci battiamo nel gruppo di testa (non a caso le multinazionali del ramo corrono tutte qui). In Italia c’è una slot machine ogni 143 abitanti. Seconda, staccata, la Spagna (una slot ogni 245 abitanti) seguita dalla Germania (una ogni 261 abitanti).
Ma non ci sono solo i numeri. Nell’inchiesta di copertina di 7 del Corriere abbiamo deciso di concentrarci sulle storie. Stefania Chiale s’è infilata nelle sale-giochi, ha parlato con i giocatori abituali, ha ascoltato le loro confidenze, ha visitato un centro di recupero a Pavia, la capitale della ludopatia italiana. Un racconto malinconico e istruttivo, che dimostra come il vizio del gioco non sia più un argomento da romanzo dell’Ottocento, né un’insidia limitata ai più ingenui tra i contemporanei.
Certo, giovani e anziani sono più fragili; ma può accadere a tutti. Il primo incontro, al «Game Paradise» di viale Certosa a Milano è con una signora elegante, borsa firmata e cappello, che ammette di giocare circa 200 euro al giorno. Altri frequentatori raccontano d’essere legati a una certa slot machine, al punto da esserne gelosi. Perché anche questo accade ai giocatori patologici, lo sapevate?
Lasciamo alla lettura di domani, il racconto di quest’umanità confusa e chiediamoci: perché lo Stato italiano incoraggia tutto questo? Le sale-bingo
7,
Apparecchi Le macchine all’interno di una sala giochi
sono nate in Italia nel 1999, con il governo D’Alema. Nel 2006 il governo Berlusconi ha aperto alle slot machine. Nello stesso anno il nuovo governo Prodi ha dato via libera al gioco d’azzardo online. Due anni fa, durante il programma «L’erba dei vicini» (Rai3), ho intervistato il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta (governo Renzi). «Rinuncerebbe agli introiti del gioco d’azzardo?», ho domandato. «A una parte sì, a tutti no», ha risposto. Ammettendo ciò che ormai è evidente a tutti: nessun governo è disposto a fare a meno dei proventi del gioco d’azzardo; e ogni governo insiste nell’ignorarne le conseguenze.
Qualcuno dirà: perché lo Stato dovrebbe fare a meno di queste entrate, visto che accetta da sempre quelle derivanti dall’alcol e dal tabacco? E perché i media dovrebbero rinunciare a una fonte di reddito, in questi tempi magri? Risposta: perché, in un Paese civile, la legge non può vietare tutte le cose nocive; ma può evitare di favorirle. Uno Stato pedagogico è inopportuno (per capirlo, basta guardare la faccia di alcuni eventuali pedagoghi). Ma qualche regola, le democrazie, se la impongono. In Olanda, dove il consumo di cannabis è stato depenalizzato, è vietata la pubblicità degli stupefacenti. In Italia, che io sappia, è vietato pubblicizzare armi, sigarette, superalcolici e pornografia. La pubblicità del gioco, invece, è libera e ubiqua.
Le scommesse sono il male minore. «Diamo spazio al betting, non al gambling!», dicono, per esempio, a Sky. È vero, c’è una differenza. Ma la pubblicità è comunque insidiosa, perché rende fascinoso ciò che è pericoloso. È quello che i testimoni di giochi e scommesse — dallo sportivo Francesco Totti all’attore Claudio Amendola — insistono a non voler capire. Le ludopatie, come cerchiamo di dimostrare su 7, sono sempre più frequenti. Non leggete le statistiche. Imitate la nostra inviata. Andate in una sala-giochi a metà pomeriggio. Capirete come l’industria del gioco punti sulle fasce più deboli (come quella del tabacco). E lo Stato? Lascia fare. Prende quattro soldi dai giocatori e ne spende altrettanti per curare le conseguenze sociali del gioco. Qualcuno ce lo spieghi: qual è la logica?