LA FOTOGRAFA E GLI ARTISTI: DOPPI RITRATTI
«Sono nata a Hong Kong quando era ancora una colonia del Regno Unito, ma sono cresciuta in giro per il mondo (…). La gente di Hong Kong ha un’identità diversa da quella che vive in Cina (…), abituata a confrontarsi con le diversità culturali ed avere molteplici scambi commerciali». Ed è da quest’abitudine al confronto che scaturisce il lungo viaggio per immagini di Kristin Man che, per due anni, attraversa un’Italia di artisti e critici, alla fine sintetizzato nel Progetto 9_9 (Skira, pagine 256, 45, a cura di Fortunato D’Amico).
Man, è detto, è nata il 9° giorno del 9° mese del calendario lunare cinese. Quando? Non è detto e non è dato saperlo. «Se il numero 99 è di buon auspicio nella tradizione cinese, come simbolo di longevità e felicità eterna — spiega la scrittrice di Singapore Kong Yen Lin, nell’introduzione —, gli manca tuttavia una cifra per raggiungere la rotondità del 100, un minuscolo intervallo lo separa dall’essere perfetto».
Premessa di Progetto 9_9? La storia di un’esistenza da giramondo. Borsa di studio in Galles in un college con 350 studenti di 70 Paesi; il primo viaggio in Italia, a 16 anni, con lo zaino in spalla; laurea alla Brown university e master alla Columbia, esperienze di lavoro a Londra, Singapore e Parigi; ritorno in Italia. E se uno si trova bene in Italia, perché tornare indietro? pensa Kristin Man.
Girare il mondo può indurre non solo ad osservare, ma a penetrare la vita di ogni giorno, suscitando ispirazioni, suggerendo idee. Modelli? Il fotografo e regista svizzero Robert Frank; il fotografo di strada giapponese Daido Mariyama; l’americano Stephen Shore, autore nel ’75, assieme ad artisti come Robert Adams, Lewiw Baltz, Joe Deal ed ai Becher, di Un paesaggio alterato dall’uomo. E, soprattutto, il ritrattista Usa Ryan McGinley.
Già, il ritratto. Comincia così l’avventura di Kristin Man. Anzi, nel suo caso, il doppio ritratto. Che cosa vuol dire? Che essa non si limita a fotografare gli altri, ma, contemporaneamente, ritrae anche se stessa. Man studia i vari personaggi — per lo più, artisti — (informazioni, incontri preliminari, interviste) e, come una regista sapiente, costruisce il palcoscenico dove metterli in posa «come fossero monumenti da collezionare», crea l’atmosfera che ritiene adatta a ciascuno, con un apporto riflessivo e malinconico («È il mio narcisistico viaggio di esplorazione del mio rapporto con un altro artista», spiega).
I contatti? Alcuni amici, inizialmente («Attenta, però», l’avverte Camilla Fiorin). Il ventaglio si allarga: gli amici degli amici. Protagonisti? Achille Perilli, Arnaldo Pomodoro, Enrico Castellani, Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin, Giuseppe Maraniello, Arturo Schwarz, Giuseppe Spagnulo, Kengiro Azuma, Luigi Mainolfi, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Jodice, Piero Gilardi, Pietro Coletta, Wlater Valentini, Mimmo Paladino ed altri centoquattro co-autori di una sorta di filmdocumentario che ha degli spunti di notevole interesse.
Finale? «È sempre difficile concludere un film di viaggio — dice David Campany in The Open Road —, perché il suo fascino maggiore è la fuga, e il motore della narrazione, il movimento». Che la fotografa-artista cinese traduce in singoli aspetti apparenti in grado, però, di esprimere la propria interiorità. Il viaggio continua.
Zygmunt Bauman, spiega Kong Yen Lin, afferma che «la modernità impone di vivere la vita come un pellegrinaggio». E che cos’è quello di Kristin Man, in giro per l’Italia?