Torino, il Corriere Quando Albertini scrisse a Einaudi
IN EDICOLA DA VENERDÌ Il futuro capo dello Stato studiò con il direttore Albertini. La nuova redazione sotto la Mole
Erano i primi anni del ’900. Quando il direttore del Corriere Luigi Albertini contatta Luigi Einaudi, professore a Torino e futuro primo presidente della Repubblica per iniziare a collaborare con il Corriere.
Un giovane professore dell’Università di Torino e il Corriere della Sera. Siamo nei primi anni del ‘900. Il direttore del Corriere si chiama Luigi Albertini, il mitico Albertini, e da alcuni anni prova a corteggiare un ex compagno di studi, ora brillante docente di economia, prima a Cuneo (istituto tecnico) poi a Pisa (università) e infine a Torino. Si chiama Luigi Einaudi, è nato a Carrù ma presto, dopo la morte del padre, si è trasferito a Dogliani, città natale della madre. Come usava allora, i due si danno del lei. Scrive Albertini: «Caro Einaudi, ho assoluto bisogno di parlarle... Ella dovrebbe venire a Milano con un biglietto di andata e ritorno, partendo alla mattina per arrivare qui a mezzogiorno, e ripartire alle 4 del pomeriggio, in modo di essere la sera stessa a pranzo a casa. Io alle 2 del pomeriggio sarò in ufficio. Ad ogni modo lei può telefonare al Corriere (1370) o a casa mia (1752). La prego vivamente di non far parola con alcuno di questo suo viaggio a Milano». Albertini allega anche lire 25 per le spese di viaggio «di cui vorrà farci tenere ricevuta».
A partire dal 1903 inizia una straordinaria collaborazione fra il futuro Governatore della Banca d’Italia e, soprattutto, futuro primo presidente della Repubblica italiana, e il Corriere. È una stagione esaltante per il giornale e per la sua più eminente firma d’economia (Einaudi scriverà 2744 pezzi, tra articoli ed editoriali), una collaborazione nel segno dell’impegno civile, di una convinta adesione ai principi del liberalismo e dell’economia di mercato, della funzione educatrice della stampa sia nei riguardi della classe dirigente che dei lettori. Einaudi cesserà di collaborare solo quando il fascismo costringerà i fratelli Albertini ad allontanarsi da via Solferino. Non poteva continuare a collaborare con «uomini con cui non si condividono ideali e sentimenti».
Lo sbarco del Corriere sotto la Mole avviene con una dote importante; quella della continuità, delle radici più profonde, del giornalismo responsabile. Per Einaudi l’attività accademica era assolutamente complementare a quella pubblicistica; da una parte la dottrina, dall’altra il confronto diretto con l’opinione pubblica. In alcuni scritti, arriva a considerare l’opinione pubblica, «intesa come insieme dei contribuenti e dei cittadini non partecipanti al banchetto governativo», come l’ultimo baluardo contro il dilagare delle spese e delle imposte, in un contesto nel quale le Camere elettive, sorte per tenere a freno le «manie spenderecce dei sovrani», stanno ormai abdicando al loro compito (queste preziose e «attuali» informazioni sono contenute nei due volumi «Luigi Einaudi e il Corriere della Sera», editi dalla Fondazione Corriere della Sera).
Il banchetto governativo, le imposte, la mani spenderecce... Con gli anni, gli articoli di Einaudi assumeranno spesso la formula della predica (per lo più inascoltata), con l’intento di diffondere presso i lettori alcuni valori fondanti, quali l’intraprendenza individuale, il principio di responsabilità, la parsimonia. Sì, proprio la parsimonia. Salito al Quirinale, lo racconta Ennio Flaiano in un celebre articolo, avendo invitato alcuni giornalisti a cena, offrì loro una lezione di economia
domestica. Arrivati alla frutta, il presidente disse: «Io prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che ne vuole dividere una con me?». È noto poi che i compensi che percepiva dal Corriere (cifre discrete per quegli anni: cento lire per ogni articolo firmato e sessanta per i pezzi anonimi) era solito investirli comprando terreni a Dogliani e impiantando vigne.
Una sua grande lezione (riguarda l’economia, la politica, la comunicazione, persino internet...) è quella che chiamava la «teoria del punto critico». Esiste una soglia invisibile ma reale, superata la quale un fenomeno da positivo diventa negativo: se si abusa di qualche cosa, la medesima cosa finisce per rivolgersi in un danno. Lui cercava di spiegare ai lettori di allora i «danni» prodotti dalla radio (!), ma è una teoria perfetta per cercare di capire i possibili fraintendimenti dell’odierno scenario mediatico.
Anche di questo s’interessava, non rinunciando mai a una scrittura giornalistica che il critico Geno Pampaloni ha definito «cristallina e agevole», due aggettivi che restituiscono pienamente il senso della sua collaborazione e dello stile Corriere.
Caro Einaudi, ho assoluto bisogno di parlarle... Ella dovrebbe venire a Milano... Io alle 2 del pomeriggio sarò in ufficio
Luigi Albertini Direttore del «Corriere»