«In India non si muore di fame Ma per lo spreco delle risorse»
Uzmi, reporter di un paradosso: cibo abbondante, non riusciamo a distribuirlo
Pepite nere «Ethiopian Dream» è il titolo dell’immagine di Dan Hemmelgarn in gara nella sezione Unpublished del progetto Media award di BCFN e TRF in eccesso, abbastanza da sfamare tutti».
Questo paradosso è al centro dell’articolo «Food Loss», fra i tre lavori finalisti per la categoria unpublished del riconoscimento promosso dalla Fondazione Barilla, la cui cerimonia di premiazione si terrà domani nel corso del all’ottavo Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione a Milano.
«È necessario cambiare l’idea comune della fame in India e uscire da una visione solamente critica, cercando delle soluzioni. E in questo — racconta la giornalista specializzata — noi media abbiamo un ruolo fondamentale per diffondere la consapevolezza che non sia la reale mancanza di cibo a uccidere, ma lo spreco di 13 miliardi di dollari di alimenti ogni anno».
Nel 2017 il Paese si è classificato centesimo tra le 119 nazioni in via di sviluppo dell’Indice Globale della Fame (GHI), configurandosi così come una delle zone del mondo dove la problematica è più grave, dietro persino a Corea del Nord, Bangladesh e Iraq.
Una piaga che colpisce soprattutto i bambini: tremila muoiono ogni giorno, oltre il 30 per cento di quelli sotto i cinque anni è sottopeso, mentre uno su due è malnutrito, secondo il rapporto «Una fame da morire» di Save the Children. «Le principali cause di questa situazione — spiega Uzmi — sono la mancanza di pianificazione nella distribuzione degli alimenti (l’India, ad esempio, è la seconda produttrice al mondo di frutta e verdura dopo la Cina, ma ne spreca oltre il 50 per cento, ndr) e la carenza di strutture in cui stoccarlo. Spesso infatti, conservato in luoghi inadeguati, finisce per andare a male o venire attaccato da topi e insetti».
Altro grande tema è la logistica. «Il governo indiano ha iniziato a investire in impianti di stoccaggio moderni — dice Uzmi — e ha anche avviato un programma per incoraggiare i privati a costruirne, inoltre sta favorendo lo sviluppo di colture più resistenti, ma tutto questo è inutile senza un sistema di distribuzione funzionante che permetta di far circolare il cibo fra le diverse aree di campagna (dove risiede un quarto della popolazione, ndr) e le metropoli.
E perché ciò sia possibile servono investimenti in infrastrutture, come strade e ponti, o per molti agricoltori i costi di trasporto continueranno a essere proibitivi e resterà più conveniente eliminare parte degli alimenti prodotti, piuttosto che a portarli dove ce ne sarebbe bisogno e salvare delle vite».
Buttiamo alimenti per 13 miliardi di dollari all’anno. E c’è il problema della cattiva conservazione