Corriere della Sera

«Il Movimento punta su imprese e legalità Non siamo illiberali»

- Luigi Di Maio

Caro direttore, nell’editoriale sul Corriere di ieri Angelo Panebianco sostiene che il Movimento 5 Stelle sia una forza politica illiberale, paragonabi­le al Partito Comunista degli Anni 60. Spiace constatare ancora una volta i pregiudizi che circondano il movimento da me rappresent­ato in qualità di candidato premier. Il Movimento 5 Stelle ha una storia ben precisa, fondata su legalità, moralità pubblica e vicinanza alle piccole e medie imprese. Lo dimostrano gli incontri che sto svolgendo nel Nord Italia proprio in queste settimane e soprattutt­o il nostro programma di governo. Cosa avrebbe di illiberale la drastica riduzione fiscale a favore delle imprese che abbiamo intenzione di realizzare? L’abolizione dell’Irap, la riduzione del cuneo fiscale e la semplifica­zione del regime Irpef sarebbero misure ostili alle imprese? E ancora: la riduzione dei tempi della giustizia, la lotta agli sprechi nella spesa pubblica e l’eliminazio­ne di 400 leggi inutili? Siamo forse illiberali perché riteniamo che godersi un giorno di festa in famiglia debba essere un diritto anche per i commercian­ti? Solo in Italia non ci sono restrizion­i sulle aperture nei festivi. Si tratta di misure di buonsenso, che a differenza di altre forze politiche abbiamo la credibilit­à per poter realizzare. Abbiamo poi un’altra proposta di grande impatto: una banca pubblica di investimen­to che stabilizzi il sistema creditizio e finanzi le imprese italiane a tassi agevolati, sul modello francese e tedesco. Il nostro obiettivo è di rimettere al centro l’economia reale. Lo faremo attraverso uno Stato innovativo, snello, che tracci le regole del gioco e intervenga a favore dei più deboli. L’idea che ci ha ispirato nella costruzion­e del programma è la Qualità della Vita. Né statalismo né finanza sregolata, ma una sintesi che tenga insieme diritti, sviluppo tecnologic­o e impresa. Per realizzare questa concreta utopia serve un patto con l’Europa. Non si tratta di mettere in discussion­e l’euro, ma di riconoscer­e che il nostro Paese ha bisogno di uno sforamento temporaneo del rapporto deficit/Pil per rilanciare lo sviluppo, come già hanno fatto Spagna e Francia. Un deficit produttivo avrebbe il merito di sostenere la ripresa ripagandos­i da sé con l’aumento dell’occupazion­e e delle entrate fiscali. Spero di aver dissipato gli equivoci che troppo spesso restituisc­ono un’immagine distorta del Movimento 5 Stelle.

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