L’ultimo sfregio a Solzhenitsyn «No al monumento, è un nazista»
A Mosca protesta dei «bolscevichi» contro l’autore di «Arcipelago Gulag»
Proprio mentre ricorre il centenario della nascita, il grande scrittore e dissidente Aleksandr Solzhenitsyn continua a dividere la Russia. O almeno a suscitare un odio inspiegabile in una parte (per fortuna minoritaria) della popolazione che guarda ancora con nostalgia e orgoglio agli anni dello stalinismo. E che ha completamente dimenticato gli orrori delle repressioni denunciati proprio da Aleksandr Isaevich in libri come «Arcipelago Gulag».
Ieri è stato inaugurato un bassorilievo con l’immagine del premio Nobel sul palazzo dove lui abitava a Mosca e dove venne arrestato dalla polizia politica nel 1974. Un modo per ricordare che l’11 dicembre del 2018 lo scrittore, morto nel 2008 (era tornato in Russia dopo vent’anni di esilio negli Usa) avrebbe compiuto cento anni.
Subito un gruppo di «Giovani comunisti rivoluzionari» ha affisso dei manifesti contro Solzhenitsyn, accusato addirittura di essere un «collaboratore intellettuale» dei nazisti. I manifesti contengono la sua foto manipolata (ha in testa un berretto nazista) e una scritta che dice «Vlasovets letterario, via da Mosca». Vlasov era un generale dell’Armata Rossa che si unì ai nazisti dopo la cattura nella Seconda Sul sito del Corriere della Sera, foto e aggiornamenti sullo «scandalo» dei poster contro Solzhenitsyn guerra mondiale. Uno dei giovani «bolscevichi», un certo Sergej, ha giustificato l’azione affermando che «commemorare un antisemita, nazista e nazionalista come Solzhenitsyn non è altro che sputare in faccia a chi ha lottato contro il nazismo, cioè sputare in faccia al popolo sovietico».
In realtà, Solzhenitsyn, che era partito volontario per la guerra, si guadagnò il grado di capitano e due decorazioni combattendo a Kursk e in Prussia orientale. Nel 1945, poi, venne arrestato e mandato nei lager per aver criticato Stalin in una lettera inviata a un amico. Anni di prigionia e di esilio in Kazakistan si conclusero dopo la morte di Stalin e la «Primavera» di Krusciov. Nel 1962 fu pubblicato il suo libro «Una giornata di Ivan Denisovich» nel quale raccontava l’assurda vita dei reclusi nell’arcipelago Gulag (sigla che indica la direzione dei campi di reclusione). Ma con la defenestrazione di Krusciov, il disgelo ebbe termine e Solzhenitsyn riprese a essere perseguitato dal Kgb (tentarono anche di avvelenarlo). Quattro anni dopo il premio Nobel (che non poté ritirare), assegnatogli nel 1970, fu espulso dall’Urss.
Dopo il ritorno in patria, ci sono state celebrazioni, un tentativo di farlo accettare ai russi come il nobile padre della patria, tutte cose accolte con freddezza da una parte della popolazione.
Una strada di Mosca, via Comunista, ha preso il suo nome dopo la morte, con la protesta degli abitanti che dovettero rifare tutti i documenti. Un monumento è stato eretto a Vladivostok, dove arrivò dagli Usa. E pochi giorni dopo qualcuno nella città sul Pacifico appese un cartello con su scritto «traditore e nemico del suo Paese» attorno al collo della statua. Nel 2016 lo scrittore è stato «impiccato» in effigie davanti al museo del Gulag dai soliti Giovani comunisti.
Di fronte a queste azioni, la famiglia ha risposto con una lettera aperta: «Continuiamo a dividerci tra “i nostri” e “i traditori” perché come Paese non abbiamo condannato i crimini del regime comunista contro il suo stesso popolo».
Per l’anno prossimo il governo prevede un altro monumento, questa volta a Mosca. E ha chiesto all’Unesco di dichiarare il 2018 «Anno di Solzhenitsyn».
@Drag6