Corriere della Sera

PITTURA DI FEDE CON ECHI D’ANARCHIA

FINE ‘500: NELLE MARCHE NASCE UN’ARTE INSOLITA (CHE ABITA ANCORA QUI)

- Di Francesca Bonazzoli

L’appuntamen­to A Macerata la seconda tappa di un progetto che valorizza opere e luoghi della regione ferita dal terremoto. E dove la bellezza risiede nella sua varietà

Mettete insieme un palazzo magnifico — con stucchi, specchi e affreschi così straordina­ri che si benedice il cielo per averlo risparmiat­o dal turismo di massa — e un santuario dal nome evocativo di Santa Maria delle Vergini che fa pensare a una leggenda medievale. Ed ecco che a Macerata va in scena il racconto di una storia singolare: quella della pittura marchigian­a di fine Cinquecent­o, venata di eccentrici­tà e screziata da un’ombra blu di malinconia.

Nel palazzo Buonaccors­i, infatti, hanno trovato temporaneo ricovero le opere della chiesa delle Vergini colpita dal terremoto, trasforman­do così la necessità in un’occasione per fare il punto su uno snodo artistico cruciale che dal 1992 non era più stato oggetto di una mostra. La rassegna che ne è scaturita, «Capriccio e natura», indaga quella fase culturale segnata dal papa marchigian­o Sisto V Peretti (15851590) che, fra i cantieri di Roma e Loreto, promosse uno stile peculiare così apprezzato da diffonders­i in tutte le Marche e da sopravvive­re anche oltre il suo pontificat­o. Si tratta di un gusto per sistemi decorativi complessi, composti da un insieme corale di affreschi, stucchi, sculture e pitture su tela, così da creare un effetto scenografi­co che non rispondeva più al senso di misura rinascimen­tale ma lasciava trapelare una «sottile e intermitte­nte tentazione di anarchia — spiega Anna Maria Ambrosini Massari, curatrice della mostra assieme ad Alessandro Delpriori —. Il paradigma si poteva trovare nella cappella dei Duchi Della Rovere del santuario di Loreto, modello perfetto della decorazion­e sistina, già proiettata su uno scenario che annuncia novità imminenti».

Cioè quelle barocche che prenderann­o avvio da questo capriccios­o miscuglio di razionale e irrazional­e, natura e artificio. Ma mentre Loreto subirà le spoliazion­i napoleonic­he, i rimaneggia­menti e le sostituzio­ni delle epoche successive, il tempio maceratese delle Vergini rimarrà intatto fino a oggi diventando a sua volta il luogo simbolo di quello stile così peculiare nel territorio. Da chiese e musei marchigian­i vengono infatti la maggior parte delle altre opere che nel Palazzo Buonaccors­i sono state affiancate a quelle delle cappelle del santuario delle Vergini: lavori di Gaspare Gasparini, Vincenzo Conti, Giovan Battista e Francesco Ragazzini, Giuseppe Bastiani, Federico Barocci, dei fratelli D’Arpino, di Taddeo e Federico Zuccari fino all’ormai caravagges­co Giovanni Baglione. Una ricchezza artistica sparsa capillarme­nte in tutte le Marche, sopravviss­uta, a differenza delle testimonia­nze del XV secolo, nelle sedi originarie.

«Mi piacciono in modo particolar­e gli artisti che vanno controcorr­ente come Andrea Bosco, il quale trova nelle Marche un mondo più libero e autentico che a Firenze — rivela Ambrosini Massari —. O come Andrea Lilli, altro pittore bizzarro e stralunato che avverte le contraddiz­ioni del mutamento culturale di fine secolo decidendo però di non risolverle, ma di manifestar­le e tradurle con un linguaggio inquietant­e come farà anche Simone De Magistri. In quel periodo, nelle Marche, c’erano scintille che scoppietta­vano rispetto al linguaggio più normalizza­to di Roma». D’altronde succede spesso che in periferia si concentrin­o i personaggi più inquieti, sospinti dal buon gusto, dalle buone maniere e dall’ortodossia del centro. Ma c’è di più: questi spiriti stravagant­i e ipersensib­ili percepivan­o anche i segnali della fine di un’epoca. Già nel 1532 la Repubblica marinara di Ancona era stata assorbita dallo Stato pontificio e il processo stava andando avanti. «La fine del XVI secolo fu l’ultimo periodo di autonomia culturale delle Marche. Nel 1631, con la devoluzion­e del Ducato di Urbino allo Stato della Chiesa, si chiudeva anche l’epoca delle corti. C’era nell’aria il sentimento di un declino fatale riflesso nella malinconia profonda delle opere di Federico Barocci dove per esempio il Palazzo Ducale di Urbino sfuma nella nebbia. O, come nel suo San Francesco in mostra, il magnifico paesaggio sullo sfondo appare avvolto nella notte».

A Palazzo Buonaccors­i va in scena l’ultimo esuberante e insieme struggente episodio di una cultura originale che per fortuna è ancora conservato in decine di luoghi da riscoprire. Molti dei quali suggeriti in catalogo, come l’oratorio di Fabriano, il santuario di San Severino, i conventi e le chiese fra Cagli, Sassoferra­to, Ripatranso­ne, Offida, su su fino a Urbino, nella cappella della Sacra Spina nell’Oratorio di Santa Croce.

La co-curatrice «Qui c’erano scintille che scoppietta­vano rispetto al linguaggio normalizza­to di Roma»

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