LA SCELTA PIÙ MERITA RISPETTO E DIGNITÀ
DRAMMATICA
Caro direttore, vorrei illustrare ai lettori del suo giornale la posizione di Forza Italia, e la mia personale, su una questione complessa e delicata come il cosiddetto «fine vita». Forza Italia ha espresso voto contrario al testo proposto dalla maggioranza, lasciando però libertà di coscienza ai singoli senatori. Ma la definizione di un voto, qualsiasi esso sia, è spesso riduttiva e difficilmente rappresenta la ricchezza di un dibattito che pur si è tenuto internamente al gruppo parlamentare che presiedo.
Forza Italia sin dalla nascita ha assimilato e tradotto in una nuova visione culture politiche diverse radicate nel nostro Paese. Fra queste quella laica, liberale e riformista, in cui mi riconosco, che ha e ha avuto una presenza importante in Italia, di pari dignità rispetto al prevalente pensiero cattolico, a volte maggioritaria. Basti ricordare il civile dibattito che si aprì su temi come divorzio e aborto e che fu poi sancito nelle urne dal popolo italiano.
Per quanto mi riguarda, non è la prima volta che mi trovo a difendere posizioni laiche all’interno di Forza Italia: accadde anche in occasione del voto sulla Legge 40 sulla procreazione assistita, in merito alla quale, come dissi allora, fra la montagna dei dubbi e la montagna delle certezze preferii scalare quella dei dubbi. Mi astenni, unico del gruppo parlamentare che votò contro.
Il provvedimento approvato ieri in Parlamento non è purtroppo privo di difetti, errori e imprecisioni, e in parte si può dire che rappresenti al contempo un’occasione perduta e un eccesso di zelo.
Un eccesso di zelo perché resto convinto del principio fondamentale del pensiero liberale secondo cui lo Stato dovrebbe evitare di legiferare sui temi etici. Quanto accade negli ultimi momenti di una malattia a prognosi infausta avrei forse preferito rimanesse all’interno della relazione fiduciaria fra paziente e medico, nell’alveo degli affetti del nucleo familiare, e non fosse demandato alla
regolamentazione di una legge.
Un’occasione perduta perché vorrei essere molto chiaro: questa norma non avrebbe consentito a Dj Fabo di accedere nel suo Paese al medesimo trattamento scelto per sé in Svizzera. A chi come lui non è in fin di vita, questa legge non consente di mettere fine alla propria sofferenza, ma solo di sospendere ogni trattamento: la sottile differenza modifica gravemente le condizioni in cui un’esistenza è destinata a volgere al termine. La confusione su questo punto ha forse messo a tacere qualche coscienza o qualche animo all’interno della stessa maggioranza ma non consente al governo di rivendicare il merito di aver dato risposta a coloro che si attendevano il riconoscimento di
La norma Comunque non sarà consentito ai malati di mettere fine alla propria sofferenza
un diritto. Avrei preferito che in Parlamento si potesse trattare in maniera più chiara e senza ipocrisie il tema, e ritengo che questo sia uno di quei casi in cui nel Paese il dibattito potrebbe essere già più profondo, e forse più evoluto. Sono personalmente favorevole alla libertà dell’individuo di disporre delle proprie cure e di scegliere per sé le condizioni che ritiene necessarie e quelle che ritiene insopportabili, perché non penso di potermi sostituire, con la mia condivisione a una legge, al giudizio sull’esistenza di alcun essere umano; e sono terrorizzato all’idea di dover interpretare con una norma la volontà di chi perfettamente lucido, ritiene il proprio corpo, immobile o carico di sofferenza ma capace di sopravvivere in quelle condizioni per anni, una terribile condanna, una prigione. Se un uomo consapevole delle proprie condizioni e prospettive giunge alla decisione più drammatica ritengo meriti rispetto e soprattutto tutta la dignità che uno Stato civile è in grado di garantirgli. E molto spesso questi drammi non sono propri dei singoli individui, ma anche delle famiglie, di chi per una vita si è occupato di un proprio caro in condizioni difficili. La forza, il coraggio, la dignità e l’immenso amore di una madre e di una fidanzata come quelle di Dj Fabo nel concedergli il permesso (da lui stesso richiesto) di «andare» non possono lasciarci insensibili. Vederle costrette a deporre in un processo, dovendo ripercorrere quei momenti, intimi e drammatici, non è da Paese civile.
Di questo provvedimento dunque non ho apprezzato il risultato ma almeno l’intento di avviare un dibattito. Il rispetto per coloro che assumono «la decisione più difficile di tutte», avrebbe dovuto imporre a tutti noi il coraggio di rappresentare appieno il dibattito presente nel Paese e quanto meno di discutere realmente del riconoscimento di un diritto.