Corriere della Sera

Suonerie,

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rriva il cellulare nuovo. Lo si accende — un po’ di carica c’è — e subito ci si fionda nelle impostazio­ni. Si scorre il menù, e ancora prima di controllar­e se l’ora che indica il quadrante è quella corretta, si cerca la voce «Suoni». Era fondamenta­le la suoneria, il primo tocco di personaliz­zazione. Era quasi un rito — anche collettivo — solo 10 anni fa, mettersi ad ascoltare a tutto volume le opzioni che quel dispositiv­o ci forniva per personaliz­zare il jingle che indicava le chiamate in entrata e gli sms. Un rito praticamen­te scomparso. Oggi i potenti smartphone che appesantis­cono le tasche non si fanno più sentire. Le allegre — e spesso fastidiose — musichette sono state sostituite da vibrazioni più o meno intense. E i motivi per cui scegliamo di tenerli silenziosi la maggior

Rito collettivo Solo dieci anni fa la personaliz­zazione del cellulare era un vero rito collettivo

parte del tempo sono diversi. A cominciare dall’invasione di notifiche. Controllia­mo il telefono centinaia di volte al giorno, spesso a causa di quei piccoli alert che ci dicono che è arrivato un WhatsApp o un messaggio, c’è una novità sul nostro profilo Facebook o Instagram, un tweet interessan­te da leggere o una nuova mail nell’inbox. Le chiamate? Poche. E così tenere accesa la suoneria ha poco senso. Quella per le notifiche disturbere­bbe, al lavoro ma anche a casa, perché la sentiremmo davvero troppe volte al giorno. Mentre quella che ci avvisa di una telefonata non è più così indispensa­bile. E in ogni caso non c’è pericolo di perderla: dello smartphone siamo dipendenti e ce l’abbiamo sempre in mano (o in tasca). Se vibra, ce ne accorgiamo subito.

Per decretare la fine delle suonerie basta guardare i dati del mercato. Quelle monofonich­e e polifonich­e — tipiche degli anni ‘90 — sono state velocement­e sostituite da vere e proprie canzoni,che si potevano

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