Quando i popoli diventano colpevoli
Ipopoli o i cittadini non sono mai colpevoli di nulla, si suol dire. (Taluni sostengono inoltre che non sbaglino mai, benché il mondo e la storia siano pieni di errori clamorosi, come la recente elezione di un buzzurro razzista alla Casa Bianca). Ma io credo che popoli o cittadini possono essere colpevoli, eccome.
Che tale colpevolezza sia scevra di conseguenze è un’altra cosa, mentre è certo che a loro tocchi il castigo di soffrire per quattro anni a causa dei criminali o degli imbecilli — l’uno non esclude l’altro — che essi stessi hanno votato. Può accadere, come in Russia e in Venezuela, che 4 anni si trasformino in 20 o forse più. Alcuni politici, una volta insediati, anche con maggioranza parlamentare, ne approfittano per annullare o inquinare il voto, oppure danno avvio a «un processo costituente», vale a dire instaurano una nuova «legalità» in grado di assicurare loro potere e benefici. È anche vero però che i popoli possono scrollarsi di dosso ogni responsabilità, alla prima occasione, reclamando di essere stati ingannati dai loro eletti.
Il popolo o i cittadini catalani non potranno brandire questa scusa tra quattro giorni. Durante i due anni e più trascorsi dalle consultazioni regionali hanno avuto conferma di come i risultati non siano stati quelli auspicati. I partiti indipendentisti hanno ottenuto il 47-48% dei voti, da loro considerata «una chiara maggioranza» che reclamava la scissione dalla Spagna, «un mandato» da rispettare, che avrebbe condannato all’oblio il 52% degli elettori. Non solo questo 52% è stato emarginato, ma addirittura messo alle strette e assillato, allontanato dalle istituzioni e persino dal governo, se si mostrava «tiepido» (ricordiamo il consigliere Baiget, che si è detto disposto ad andare in prigione ma non a perdere il suo patrimonio, ed era bastata questa affermazione per accusarlo di «indifferenza»). Da quel giorno, tutte le azioni degli indipendentisti sono state e continuano a essere ispirate da un cinismo che ha superato persino quello che abbiamo sopportato per lustri da parte del Pp, e
che in realtà sembrava ineguagliabile, pari solo al cumulo delle loro menzogne. L’Erc (Sinistra repubblicana di Catalogna, ndr), il PdeCat (Partito democratico europeo catalano, ndr) e il Cup (Candidatura di unità popolare, di estrema sinistra, ndr) hanno mentito spudoratamente, e su tutto. Le aziende avrebbero sgomitato per venire a insediarsi in una Catalogna indipendente, ed è bastata quella minaccia a far sloggiare quasi tremila di esse (tra cui molte di primissimo piano), che si sono affrettare a cambiare sede sociale, o fiscale, o entrambe. Nemmeno per un istante saremo al di fuori dell’Unione Europea, e tutti i Paesi membri hanno voltato loro le spalle. Saremo più ricchi, ed è bastato questo annuncio a far calare turismo e affari, a portare quasi alla rovina cinema
e teatri, a far crollare la produzione, a far fuggire il denaro e a far precipitare nella disoccupazione i meno abbienti, camerieri e personale di pulizia in primis. Saremo come la Danimarca, e le nuove prospettive economiche trasformeranno la repubblica in una grande Monaco (cioè in un gran casinò), in una grande Andorra (cioè in un immenso paradiso fiscale) oppure, per la Cup, in una
grande Albania dei tempi di Hoxha (un’immensa prigione con il suo spaccio).
Però, certo, ognuno è libero di desiderare ciò che vuole. L’indipendentismo è legittimo quanto le altre opzioni. Il problema, dal mio punto di vista, è come portare a compimento la secessione e in quali mani consegnare il nuovo Stato. A queste elezioni si presentano gli stessi individui con mire balcanizzanti e totalitarie che agiscono senza scrupoli dal 2015. Coloro che li votano sanno bene che cosa aspettarsi e non potranno mai dire, «Ma io non lo sapevo», né «Mi hanno ingannato». E coloro che solitamente si astengono dal votare nelle consultazioni regionali, anche loro non potranno dire, «Io mi astengo» né «Tanto sono tutti uguali». Queste elezioni seguono un’emergenza. Gli indipendentisti esigono che il governo centrale si impegni ad accettare i risultati anche se contrari ai suoi interessi, ma occorre che essi facciano altrettanto, benché non sembrino disposti a farlo: se perdono, considereranno le consultazioni illegittime; se vincono, si vanteranno di aver messo a segno un trionfo. E già parlano di possibili brogli, proprio loro che ne hanno commesso uno plateale nello scorso 1-0, facendo passare per valido uno pseudo referendum da loro stessi controllato senza la minima garanzia.
d Se perdono, considereranno le consultazioni illegittime; se vincono, si vanteranno di aver messo a segno un trionfo. Ma già parlano di possibili brogli I cittadini Chi li vota sa bene che cosa aspettarsi e non potrà mai dire, dopo: «Ma io non lo sapevo»
Occorre tuttavia riconoscere che se si eclisseranno, sentiremo la mancanza dei loro leader, che finora si sono dimostrati i più divertenti. Ascoltare le sciocchezze e le bassezze del lunatico Puigdemont, di una Marta Rovira infida e calunniosa, del bacchettone Junqueras, dell’autoritaria e stolida Forcadell, del bullo Rufián e del confusionario Tardà è stato come seguire la striscia quotidiana delle vignette del grande F. Ibáñez, «13 rue del Percebe». E ascoltare le logorroiche incoerenze di Colau è stato come sorbirsi una razione giornaliera di Cantinflas (il comico messicano). Però anche il divertimento ha un limite, quando rischia di portare al suicidio. E non solo a quello politico. Anche a quello economico, della pacifica convivenza, della libertà democratica e della dignità. Non ci sono scuse per trasformarsi in un Paese indecoroso. Andate a chiederlo all’Austria quando, percorrendo questa strada in senso opposto, perse il suo nome e finì col chiamarsi Ostmark per sette anni: e fu per volontà del suo popolo o dei suoi cittadini.