Neanche i piloti sapevano
Polemiche sull’operazione. L’equipaggio ha saputo la destinazione solo all’ultimo
ROMA Tecnicamente si è trattato di un volo militare operato da un C130 (cargo) della 46esima Brigata aerea dislocata a Pisa San Giusto. Il personale militare imbarcato era a conoscenza della destinazione finale (Egitto), ma fino al momento dell’atterraggio tutti ignoravano il vero scopo della missione. Nessuno sapeva che quel velivolo, di solito adibito a trasporti sanitari d’urgenza o al trasferimento di mezzi, avrebbe di lì a poco riportato sul suolo italiano la salma di Vittorio Emanuele III di Savoia.
Senza arrivare alla suggestione degli ordini contenuti in una busta con la ceralacca consegnata all’equipaggio, è vero che l’intera operazione è stata condotta con un altissimo livello di segretezza. Un vincolo mantenuto da decine di persone — coinvolti gli apparati di Quirinale, Palazzo Chigi, Farnesina, Viminale e Difesa — che sul finale è stato rotto soltanto dall’abate di Vicoforte, don Meo Bessone. C’è stato infatti un improvviso slittamento temporale di 48 ore tra il rientro da Montpellier della salma della regina Elena e quella di Vittorio Emanuele III. Venerdì, quando la parte francese dell’operazione era completata (e rivelata dall’abate), la missione egiziana era ancora in alto mare con tutti i rischi del caso.
L’operazione è stata «agevolata politicamente» dal Quirinale — che lavora da un anno dopo aver ricevuto la richiesta umanitaria da parte dei Savoia — ma il braccio operativo ce l’ha messo il governo. La cabina di regia è stata del Cerimoniale del ministero degli Affari Esteri (ad Alessandria, al momento dell’imbarco della salma, era presente l’ambasciatore Giampaolo Cantini), ma erano al corrente i militari (Difesa), vari prefetti (Viminale) e Palazzo Chigi.
L’aiuto assicurato ai Savoia ha suscitato le critiche dell’Unione delle comunità ebraiche sulla circostanza che Vittorio Emanuele III firmò le leggi razziali nel ‘38. Ma c’è anche l’atto di accusa di Carlo Smuraglia, presidente dell’Associazione nazionale partigiani: «Quello dei Savoia lo considero un problema chiuso da molto tempo. Smettiamo di parlarne. Ritengo che portare la salma in Italia con solennità e volo di Stato è qualcosa che urta le coscienze di chi custodisce una memoria storica. E non si parli più neanche di questa ipotesi di mettere le loro salme nel Pantheon».
Molto duro anche il deputato Giulio Marcon (Sinistra italiana-Liberi e Uguali): «Qualcuno dovrà spiegare a noi, alla Corte dei Conti e agli italiani per quale motivo sia stato usato un aereo dell’Aeronautica militare, un volo di Stato per riportare in Italia la salma di colui che non si oppose all’avvento della dittatura fascista, firmò la vergogna delle leggi razziali contro gli ebrei».
Sui costi, oltre al volo militare senza il quale il rientro non sarebbe stato possibile, al Quirinale osservano che tutto ciò che ha riguardato esumazione, trasferimento e inumazione delle salme in Francia, in Egitto e in Italia è a carico dei Savoia. Sulle ore di volo del C130, infine, si fa notare che quegli aerei si levano in volo comunque tutti i giorni per motivi di addestramento.
Il rimpatrio può rappresentare un’occasione di riconciliazione nazionale e con la memoria del Paese e un segno di pietas cristiana verso due battezzati don Meo Bessone rettore del santuario di Vicoforte La busta Massima segretezza: «Gli ordini trasmessi in una busta chiusa con la ceralacca» Non si può santificare il passato occultando gli eventi tragici e neppure portare indietro le lancette dell’orologio Michele Ainis costituzionalista Portare la salma in Italia con solennità e volo di Stato urta le coscienze di chi ha una memoria storica L’Anpi