Corriere della Sera

«Ho usato 18 identità in otto Paesi» Igor confessa gli omicidi spagnoli

Ieri l’interrogat­orio: «Voglio essere in Italia al mio processo». Fermato con 100 proiettili

- Marco Imarisio

ALCANIZ «Cabron!» Il Tribunale è in una stradina stretta. Alle dieci del mattino Norbert Feher scende dalla camionetta della Guardia civil e dalle finestre delle case di fronte arrivano le urla e gli insulti degli inquilini. «Màtenlo», ammazzatel­o, ordina una donna al terzo piano agitando le spondina con il bucato.

L’ex militare serbo si è ripreso dalla sbronza. La notte dell’arresto, quando venne ritrovato esanime nel Pick up che aveva rubato a una delle sue ultime tre vittime, quasi addormenta­to mentre stringeva sul petto le sue quattro pistole, aveva nel sangue un tasso alcolemico due volte superiore a quello per il quale in Spagna viene ritirata la patente. Nel casolare dove poi dichiarerà di avere bevuto e dormito per tre giorni interi sono state ritrovate bottiglie di vino sparse e due bottiglie di Rhum che sembrano provenire da un negozio alla periferia di Valencia.

Che siano i frutti delle sue ultime scorriband­e nelle campagne della bassa Aragona o la prova definitiva che i suoi contatti erano davvero nella città dove nel 2016 si era fatto fotografar­e in dolce compagnia, lo stabiliran­no gli esami su telefonino e tablet. Anche i carabinier­i del Ros hanno un ovvio interesse per quei dati, considerat­i fondamenta­li per ricostruir­e la lunga fuga di Feher. Qualcuno l’ha aiutato. Perché se è vero che addosso non aveva denaro, le due confezioni di munizioni da 50 proiettili ognuna che portava nel giaccone, pronte per ogni evenienza, non possono essere acquistate da una persona senza documenti e senza identità, ricercata ovunque. Quindi è stato un complice a fornirgli la materia prima per uccidere ancora.

Alla giustizia spagnola il passato recente non interessa. Ci sono tre cadaveri, c’è un assassino colto quasi in flagranza di reato. Nelle cinque ore di interrogat­orio condotte dal giudice locale di Alcaniz, interament­e dedicate all’agguato di mercoledì notte, Feher ha ammesso la sua colpevolez­za. Una confession­e piena, e quasi obbligator­ia date le circostanz­e. Il giudice non ha disposto altri accertamen­ti: caso chiuso. Ma Feher ha aggiunto anche altri dettagli, ammettendo di aver fatto ricorso a diciotto diverse identità in otto Paesi. In Spagna invece, durante i suoi viaggi negli anni passati, ha sostenuto di aver sempre usato il suo vero nome. Avrebbe poi detto di essere giunto nella bassa Aragona solo 20 giorni fa, e di aver cominciato a cercare cibo saccheggia­ndo le fattorie dell’altipiano dopo aver finito i pochi soldi che aveva. Durante questo tempo, il casolare dove lo scorso 5 dicembre ha ferito due persone che stavano cercando di cambiare la serratura della porta sarebbe stato il suo unico giaciglio fino alla scoperta. Da allora, avrebbe vagato nelle campagne, fino all’ultimo rifugio, il casolare di El ventorillo davanti al quale ha ucciso il proprietar­io e i due gendarmi.

«Sono arrivato in Spagna lo scorso settembre». La parte che ci riguarda più da vicino, la fuga durata otto mesi, è stata liquidata in mezz’ora al mattino. Carmen Lamela, la giudice della Audiencia nacional colegata da Madrid, gli ha notificato il mandato d’arresto internazio­nale, chiedendog­li se aveva intenzione di essere trasferito in Italia quando si terrà il processo per la morte del barista di Budrio Davide Fabbri e per quella della guardia ecologica volontaria Valerio Verri, che è cosa ben diversa dall’estradizio­ne, sulla quale Feher non ha ovviamente alcun diritto di decidere alcunché. Comunque, ha acconsenti­to. In Spagna, ha aggiunto, non ha mai avuto lavoro, vivendo sempre del denaro che ha detto di essersi portato dall’Italia. Ammesso e non concesso che sia questa la verità, Feher si è rifiutato di fare il nome della donna cubana che secondo gli investigat­ori lo avrebbe ospitato a Madrid e poi Valencia, il mosaico che ricostruir­à la sua fuga comincia con questi pochi tasselli.

L’ubriachezz­a della sua ultima notte da fuggitivo non è certo una attenuante. Una bestia feroce resta sempre tale. Le autopsie sui corpi dei due uomini della Guardia civil rivelano la verità elementare della sua intenzione di uccidere. Vìctor Romero è stato colpito tre volte, Vìctor Cabalero cinque. Entrambi a bruciapelo. Alle 17 Feher è uscito dalla stessa porta dove era entrato sette ore prima. La Guardia civil lo ha dato in pasto a fotografi e operatori che lo stavano chiamando, facendolo camminare verso di loro per una decina di metri. Lui non ha abbassato la testa, anzi. Saranno anche impression­i di un istante, ma nei suoi occhi non c’era niente. Solo gelo e indifferen­za. Lo sguardo di un assassino nato.

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A processo Norbert Feher ieri mentre viene scortato in tribunale

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