Corriere della Sera

Addio a Leonetti, autore militante amico di Pasolini e di Volponi

Fondatore della rivista letteraria «Officina», è morto ieri a Milano. Era nato a Cosenza nel 1924

- Di Paolo Di Stefano

Francesco Leonetti, morto ieri a Milano a 93 anni, aveva lo stesso febbrile attivismo del suo amico Vittorini: forse perché, arrivando a Milano dal Sud, sentivano la necessità di mostrare al quadrato il loro dinamismo, per smentire il luogo comune del meridional­e accidioso e indolente. Leonetti fu tutto, poeta, narratore, artefice di riviste e agitatore culturale, inventore e militante politico (coinvolto nei dibattiti della nuova sinistra), docente di Estetica a Brera, persino attore con l’amico Pier Paolo Pasolini (è Erode nel Vangelo secondo Matteo, il servo Laio nell’Edipo Re, voce del corvo in Uccellacci Uccellini). Nato a Cosenza nel 1924, fino a ieri era l’ultimo superstite della generazion­e dello stesso Pasolini (1922) e di Calvino (1923), coetaneo di Paolo Volponi e suo grande compagno di strada (in un dialogo del 1995 intitolato Il leone e la volpe confrontar­ono le loro esperienze e le amare consideraz­ioni sul presente).

Leonetti fu un intellettu­ale del Novecento nel senso più energicame­nte pieno del termine, sempre nel fuoco delle controvers­ie, mai un passo indietro rispetto alle novità e alle sperimenta­zioni. Basti ricordare le riviste più importanti del dopoguerra, nelle quali, per dritto e per rovescio, si trova sempre il suo nome. Con Pasolini e Roberto Roversi fondò nel 1955 «Officina», dopo essere arrivato a Bologna, dove studiò e dove sarebbe stato, tra l’altro, direttore della Biblioteca Malatestia­na.

Nella redazione di «Officina» conobbe Angelo Romanò e Gianni Scalia, ma soprattutt­o Franco Fortini: il quale contribuì alla sua prospettiv­a teorica e al suo concetto di «letteratur­a d’opposizion­e» ben distante dal neorealism­o vigente. Con Vittorini e Calvino, lavorò poi al «Menabò», nato nel 1959 dopo la chiusura della collana dei «Gettoni», presso cui Leonetti aveva già pubblicato il suo primo romanzo, Fumo, fuoco e dispetto (1956), che piacque a Vittorini per il suo estro «eterogeneo ed eccentrico, poliforme, praticamen­te barocco» (parole sue). Benché fosse lontanissi­mo dalla sua idea di letteratur­a, era stato Calvino a proporlo a Elio dicendosi ammirato dagli scrittori «moralisti, sapienziar­i, ironizzato­ri di motivi culturali» e aggiungend­o: «C’è acutezza, umore e un amaro gusto psicologic­o autoritrat­tistico». Ma era il suo moraleggia­re, alla lunga (oltre all’«odio per voialtri che non sapete scrivere chiaro»), che avrebbe disturbato sempre più Calvino.

Leonetti è prima di tutto, cronologic­amente, poeta, precocissi­mo: esordisce diciottenn­e con Sopra una perduta estate (1942) e continua con La cantica (1959), un libro definito da Pasolini «franco e leggero, con le sue movenze esiodee». Nel «Menabò» escono, sempre su sollecitaz­ione di Vittorini, poemetti, una commedia in versi (Il malpensant­e), oltre a numerosi interventi di critica militante, che anticipano la fase di massima apertura leonettian­a verso tutto ciò che si agita nella cultura non solo letteraria: la psicoanali­si, la fenomenolo­gia, l’antropolog­ia, lo struttural­ismo (con dichiarazi­oni di principio anche eccessive, com’era nel suo temperamen­to). A lui e al sodale Elio si deve il progetto, poi abbandonat­o, di una rivista internazio­nale «Gulliver» pensata con Enzensberg­er, Blanchot, Butor, Mascolo. È chiaro che l’inquietudi­ne e la curiosità di Leonetti non potevano rimanere insensibil­i alle sirene della neoavangua­rdia e del Gruppo 63. Del resto, proprio nel 1963 «Il Verri» ospita un suo intervento su avanguardi­a e impegno, ma già due anni prima Leonetti rivelava una chiara tendenza verso lo sperimenta­lismo linguistic­o, con una seconda prova narrativa (Conoscenza per errore) a metà strada tra educazione sentimenta­l-ideologica e allucinazi­one schizoide, parodistic­a, divagante, a tratti rabbiosa, oltraggios­a ed estremista, un impasto di lucidità intellettu­ale e di violenza visionaria che sarà il suo timbro più riconoscib­ile anche ne L’incompleto (1964), fino al romanzo «anarco-maoista» Irati e sereni (1974) e al prosimetro In uno scacco (1979).

Nel Sessantott­o Leonetti cavalca la tempesta politica in sella a un’altra rivista di battaglia, «Che fare», creata con Arnaldo Pomodoro e Roberto Di Marco e orientata, oltre che alla teoria politica, verso i problemi della prassi legati alla rivolta giovanile. Un decennio dopo, dal 1979, lo troviamo con Antonio Porta, Nanni Balestrini, Maria Corti e Umberto Eco tra i fondatori di «Alfabeta». Inesausto e generoso, come sempre.

Curioso Era sempre aperto verso tutti i fermenti che si agitavano nel mondo intellettu­ale

 ??  ?? Da sinistra: Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti, Roberto Roversi e Paolo Volponi, nel 1957 (foto Ansa)
Da sinistra: Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti, Roberto Roversi e Paolo Volponi, nel 1957 (foto Ansa)

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