IL QUIRINALE FUNZIONA A FISARMONICA
Luigi Einaudi, presidente dal 1948 al 1955, non fu solo un notaio della Repubblica, ma svolse anche con attenzione un controllo attento sugli atti che rientravano nelle sue competenze. All’opposto, Giovanni Gronchi (1955-1962) ritenne di dover intervenire sulle questioni che interessavano il progresso economico della nazione e agevolò l’accordo democristiani-socialisti (governo delle convergenze parallele), tanto che Saragat lo chiamò «il Peron di Pontedera». Antonio Segni, presidente nel biennio 1962-1964, pur avendo dichiarato che non gli spettava determinare gli indirizzi politici, intervenne molto nella vita politica, esercitando fino in fondo tutti i suoi poteri (durante la sua presidenza si formò il primo governo Moro con la partecipazione organica dei socialisti). Con Giuseppe Saragat (1964-1971) la presidenza rientrò nell’ortodossia, perché il leader socialdemocratico, pur attento alle questioni sociali, si astenne dall’intervenire nelle vicende politiche. Ancor più fuori della mischia fu Giovanni Leone (1971-1978), che esercitò poco i suoi poteri, mentre il suo successore Sandro Pertini (1978-1985) dissotterrò a figura presidenziale dalla polvere. Francesco Cossiga (1985 -1992) iniziò in punta di piedi, ma poi cambiò tono, con accenti che oggi diremmo populistici. Oscar Luigi Scalfaro (1992 -1999), uomo chiuso in una corazza, attento alle forme, dovette gestire due scioglimenti anticipati delle Camere e nominare sei presidenti del Consiglio, svolgendo un ruolo politico molto attivo. Il decimo presidente, Carlo Azeglio Ciampi (1999 -2006), infine, seppe riconciliare gli italiani con la storia patria, scoprendo, quindi, un ruolo diverso per la carica.
Tutto questo variare di ruoli dei presidenti in un sessantennio dimostra la tesi prevalente, secondo la quale il ruolo presidenziale è disegnato in Italia «a fisarmonica». Cambia di presidente in presidente. Cambia anche nel corso del settennato (Einaudi, accorto nel non superare i limiti della carica nella prima parte della sua presidenza, divenne più «interventista» nella seconda). E spesso non corrisponde alle dichiarazioni programmatiche fatte dai presidenti. Tutto questo perché la Costituzione configura la carica in modo elastico, consentendo all’ospite del Quirinale una grande varietà di interpretazioni.
La presenza al vertice dello Stato di una figura definita a maglie così larghe, che ne consentono l’adattamento alle circostanze, rende estremamente interessanti i tentativi di mettere insieme norme e loro pratica attuazione, disegno costituzionale e prassi, come hanno fatto Mario Pacelli e Giorgio Giovannetti, nel libro Il colle più alto. Ministero della Real Casa, Segretariato generale, Presidenti della Repubblica (Giappichelli, pagine 272, 28). Questa è un’opera di storia narrativa, a metà tra ricerca storiografica e giornalismo, nella quale sono passati in rassegna i presidenti fino a Ciampi, raccontati i modi e le vicende della loro elezione, valutata l’azione che hanno svolto.
Un tentativo analogo e pionieristico era stato fatto nel 1985 da Antonio Baldassarre e Carlo Mezzanotte, nel volume Gli uomini del Quirinale (Laterza, 1985), tentativo che si fermava, naturalmente, a Pertini. Pacelli e Giovannetti non solo vanno oltre, ma aggiungono all’analisi delle figure dei presidenti della Repubblica anche una storia degli apparati amministrativi della Presidenza, a partire dalla Real Casa del Regno d’Italia, diviso in Casa Civile e Casa Militare, spesso in conflitto tra di loro. Particolarmente interessanti le pagine dedicate ai due ministri delle Real Casa Pietro Acquarone (1939 -1943) e Falcone Lucifero (1944-1946), alla costituzione, nel 1948, del Segretariato generale della Presidenza, e alle figure dei segretari generali che si sono poi succeduti.