«Attivarmi era un mio dovere» La sorpresa (e il fastidio) di Delrio
Il ministro e le parole di Padoan: io sono senza conflitti d’interessi
Prima la sorpresa, «ma davvero ha detto così?». Poi un certo fastidio, una sensazione crescente con il passare delle ore. Infine la scelta di non replicare in modo diretto, per non alimentare un caso nel quale si sente tirato dentro suo malgrado e sul quale è «stata fatta tanta confusione». Graziano Delrio non ha preso per niente bene le parole del suo collega Pier Carlo Padoan, ascoltato ieri dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Rispondendo a una domanda sull’interessamento al caso di Banca Etruria da parte dello stesso Delrio e di Maria Elena Boschi, il ministro dell’Economia ha detto di non aver «mai autorizzato nessuno a parlare con altri di questioni bancarie». Senza fare distinzione tra i due casi. Ed è stato proprio questo mancato distinguo a far salire il fastidio, a trasformarlo in rabbia. Perché secondo Delrio i due casi sono ben diversi, come aveva detto nei mesi scorsi e come ripete adesso.
Intanto per come sono venuti fuori i loro nomi. A parlare dell’interessamento del ministro Boschi per il caso Etruria era stato Ferruccio de Bortoli nel suo libro Poteri forti (o quasi). A parlare dell’interessamento di Delrio era stato Delrio stesso, nel maggio scorso, quando i giornali avevano parlato dell’intervento di un altro uomo del governo, senza però farne il nome. Il ministro conferma il suo racconto di allora: «Era l’inizio del 2015, avevo saputo che la Banca popolare per l’EmiliaRomagna stava studiando il dossier di Etruria». Del resto era stata la Banca d’Italia a chiedere alle banche popolari di valutare un intervento in soccorso dei quattro istituti di credito che dopo pochi mesi saranno messi in risoluzione, cioè accompagnati verso il fallimento pilotato. Delrio telefonò all’allora presidente della Popolare dell’Emilia-Romagna, Ettore Caselli: «Lui mi disse che il dossier Etruria era stato valutato ma che l’intervento era stato scartato. È finita lì». Il suo racconto è stato confermato dallo stesso Caselli. E Delrio rivendica tuttora quella telefonata, che pure non portò a nulla: «Era una doverosa attività istituzionale», come disse allora. All’epoca Delrio non era ministro delle Infrastrutture ma ancora a Palazzo Chigi, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, tutti i giorni a stretto contatto con il premier Matteo Renzi. «In quel periodo, per 24 ore al giorno, mi occupavo di crisi aziendali anche più grandi di quella, come l’Alitalia, l’Ilva o l’Alcoa. Un interessamento della presidenza del Consiglio era naturale. Senza dover chiedere autorizzazioni a nessuno perché questo era il mio lavoro».
Ma la vera differenza che Delrio si aspettava venisse sottolineata da Padoan è un’altra. Boschi sarebbe intervenuta per aiutare una banca nella quale la sua famiglia era direttamente coinvolta, visto il ruolo del padre Pier Luigi a lungo consigliere d’amministrazione e per qualche mese anche vicepresidente. Nel caso di Delrio questo legame familiare non c’è. Ed è per questo che il ministro rivendica quella telefonata sottolineando però che, almeno nel suo caso, non c’è stata «nessuna pressione, nessun conflitto di interessi».
La precisazione del ministero dell’Economia in cui parla di «interpretazioni strumentali» delle parole di Padoan arriva a fine giornata. E non cambia la sostanza delle cose. Il risultato di ieri, per Delrio, è che sul caso Etruria il suo nome e quello di Maria Elena Boschi sono stati messi sullo stesso piano. Con l’aggravante che a farlo è stato un collega di governo.
«Ha detto così?» Irritazione anche per la mancata distinzione con la la posizione di Boschi