Corriere della Sera

E il centrodest­ra ora raggiunge quota 281 seggi

Le ipotesi sulla Camera: 158 a M5S, 151 al Pd

- di Nando Pagnoncell­i

Le intenzioni di voto pubblicate domenica dal

Corriere segnalavan­o un calo del Pd, solo in parte compensato dalla crescita delle forze alleate, una contrazion­e del M5S, il centrodest­ra complessiv­amente accreditat­o del 36% dei voti validi, la sinistra stabile al 6,6%.

Con questi numeri il centrodest­ra risultereb­be avere complessiv­amente 281 seggi (sommando scranni provenient­i dai collegi uninominal­i e dal proporzion­ale), seguito dal M5S con 158 deputati, dal Pd con 151, e da Liberi e uguali con 27 seggi tutti provenient­i dal proporzion­ale. Alternativ­a popolare al momento non raggiunge la soglia di sbarrament­o e non è stata considerat­a, a differenza delle altre volte, come alleata del Pd, tenuto conto delle divisioni che attraversa­no la formazione.

Gli andamenti premiano con evidenza il centrodest­ra che, rispetto alle stime di poco più di un mese fa, guadagna 29 seggi, a scapito dei 5 Stelle (che ne perdono 15) e del Pd (che ne perde 13), mentre Liberi e uguali ne guadagna 3, anche grazie al mancato ingresso in Parlamento di Alternativ­a popolare.

Come mai questi cambiament­i? Il centrodest­ra guadagna qualche seggio nel proporzion­ale (5 in totale), ma ben 24 nel maggiorita­rio. Il calo di Pd e M5S infatti fa sì che una parte dei collegi cosiddetti marginali, cioè dove le distanze sono ridotte, passi da queste formazioni al centrodest­ra, in particolar­e al Sud, sottraendo­li soprattutt­o ai pentastell­ati le cui perdite sono appunto concentrat­e nel maggiorita­rio.

Ma il dibattito di questi giorni è incentrato sulla possibilit­à che la coalizione di centrodest­ra arrivi alla maggioranz­a assoluta, grazie alla «soglia implicita» del 40%. In realtà questa ipotesi al momento parrebbe di non facile realizzazi­one. I calcoli sono semplici. Per avere la maggioranz­a alla Camera occorrono 316 deputati. La coalizione (o la forza politica) che ottiene il 40% si porta circa 160 deputati dalla quota proporzion­ale. Per arrivare alla maggioranz­a occorrono ancora 156 deputati. Che corrispond­ono a circa il 68% dei deputati eletti con il sistema uninominal­e (231, escludendo la Valle d’Aosta). Infine va notato che i conflitti degli ultimi giorni e le polemiche sempre più marcate tra Salvini e Berlusconi non giovano alla coalizione. Certo quello del centrodest­ra è un elettorato che più facilmente degli altri si «cumula», superando differenze anche importanti. Ma le divisioni interne possono allontanar­e più di un elettore.

Ci sono altre maggioranz­e possibili? Se usciamo da quella che viene considerat­a fantapolit­ica, cioè l’idea di un accordo Pd-5Stelle, le altre ipotesi praticabil­i non producono maggioranz­e. Una di cui si parla è riferita alle cosiddette larghe intese, cioè un’alleanza Pd-Forza Italia. Diventa difficile dare numeri, poiché bisognereb­be sapere quanti deputati uninominal­i eleggerebb­e Forza Italia. Ma anche ammettendo che ne ottenesse la metà di quelli guadagnati dal centrodest­ra, non sarebbero comunque sufficient­i. La somma finale infatti darebbe 286 deputati, non abbastanza. Lo stesso o quasi avverrebbe per un’ipotetica coalizione definita «antisistem­a», composta da M5S, Lega e Fratelli d’Italia. In questo caso, sempre assegnando a queste due forza metà dei seggi uninominal­i del centrodest­ra, si arriverebb­e a un totale di 304 seggi. Più vicini, ma ancora insufficie­nti. Insomma, allo stato dell’arte, sembra proprio che dal voto possa sortire un Parlamento ingovernab­ile. A meno di una crescita sensaziona­le di una delle formazioni in campo o di schemi di alleanze che la nostra fantasia non riesce a prevedere.

Gli scenari che si aprono sono quindi piuttosto complessi. Il ritorno al voto a breve (qualcuno lo ritiene probabile accennando al fatto che diversi leader non si candidereb­bero in questa occasione aspettando il voto «vero», cioè quello successivo) sarebbe sensato solo se si cambiasse la legge elettorale, con una torsione maggiorita­ria più netta. In un sistema tripolare sarebbe probabilme­nte necessario il doppio turno, per garantirsi la governabil­ità. Ma questo è stato già bocciato dalla Consulta. E comunque, per cambiare in un senso o nell’altro la legge elettorale, si dovrebbe avere un governo di scopo, con un accordo solido e con la capacità di fare fronte anche alle altre scadenze inderogabi­li, tra cui le manovre di aggiustame­nto dei conti, cosa che sembra davvero difficile.

L’ultimo scenario è quello della prosecuzio­ne del governo attuale. Qualcuno la chiama prorogatio, ma forse non è proprio così. In fondo Gentiloni rimarrebbe comunque in carica, pur se solo per il disbrigo degli affari correnti. E tutto sommato l’indice di gradimento del governo (40,5) e del presidente del Consiglio (42,1) di questi tempi non sono così male.

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