I tanti azzurri della Regione: «Noi vinciamo per l’Italia»
L’argomento è spinoso, non ne parlano volentieri. Anzi, non ne parlano affatto, se possibile. La prospettiva di avere anche la cittadinanza austriaca? «No comment» è la gentile e ferma di risposta di molti campioni altoatesini dello sport. Lista lunga: da Peter Fill, a Manfred Moelgg, a icone del recente passato come Isolde Kostner e Denise Karbon, a quel Christof Innerhofer che protesta con la voce ancora sbuffante dopo un duro allenamento: «Perché questa storia del doppio passaporto torna in ogni anno olimpico? Spendo le energie sugli sci, non in questioni inutili». I pochi squarci nella scelta del silenzio sono però significativi e provano come l’idea (o la provocazione?) dell’Austria raccolga pochi consensi. Carolina Kostner, gloria del pattinaggio: «Non penserei mai di gareggiare per una Nazione che non è la mia. Sono italiana e onorata di competere per il mio Paese». È la stessa linea di Manuela Moelgg, giusto ieri di nuovo sul podio in uno slalom gigante della Coppa del Mondo («Mi sento italianissima: ho sempre corso con il cuore per l’Italia e lo farò pure nel futuro»), o di Eva Lechner, stella del ciclocross: «Sono nata in Italia. Non mi piacerebbe essere definita austriaca, pur parlando il tedesco». Non ci sta nemmeno chi ha radici in pieno Tirolo. Klaus Dibiasi, ad esempio. L’angelo biondo dei tuffi, tre volte olimpionico e due volte iridato, ha visto la luce a Solbad Hall, oggi Hall in Tirol, distretto di Innsbruck-Land. È contento di essere nato lì «e non ho nulla da nascondere», però la sua italianità è fuori discussione: «Ho vinto con la maglia azzurra». Eppure non è insensibile alla questione sudtirolese. Non ha dimenticato la frase che Francesco Cossiga pronunciò nel 2006 sul bobbista Plankensteiner («Disse che non avrebbe dovuto andare ai Giochi se non si sentiva italiano») e più in generale è molestato dai rumori di fondo: «Mi scoccia leggere certe cose sugli altoatesini dello sport». Quindi? Basterebbe affidarsi al buon senso: «Non cerchiamo scandali, non creiamo altre barriere ora che le cose vanno meglio e non pensiamo che tutto si risolva con un passaporto». La chiosa è questa: «Con mia sorella parlo in tedesco, con altri in italiano. A Napoli non parlano forse in napoletano?».