Corriere della Sera

Pietre, pentole e pallottole È battaglia a Buenos Aires

- Alessandra Coppola @terrastran­iera

Nella notte, Federico, 42 anni, ha rinforzato due canne di bambù con lo scotch da pacchi, ha provato il rumore che ne usciva «suonandole» una contro l’altra ed è sceso in strada, tra centinaia poi migliaia di persone che battevano pentole, padelle, mestoli, cucchiai.

Da Flores, nel centro geografico di Buenos Aires (diventato celebre perché è il quartiere di papa Francesco), ha seguito il ritmo delle manifestaz­ioni spontanee fino all’avenida Rivadavia, e di qui per quasi due ore ha marciato con gli altri a piedi fino al cuore politico della capitale, confluendo nell’enorme piazza del Parlamento, che in una tesissima sessione di dodici ore alla fine, ieri mattina, ha approvato la riforma delle pensioni.

Il successo (di misura) del presidente di destra Mauricio Macri segna in Argentina il ritorno della protesta delle pentole, il «cacerolazo» che aveva marcato la disastrosa crisi del 2001. Da San Telmo a Sud, alle zone borghesi del Barrio Norte come Belgrano e Recoleta, dove appena due mesi fa il partito «macrista» aveva stravinto le elezioni di medio termine, «la resistenza si è estesa in direzioni impensate», ha scritto nel suo blog il celebre giornalist­a di sinistra Horacio Verbitsky. Già a mezzogiorn­o girava via WhatsApp un appello a tornare in strada con le casseruole la sera: «Cacerolazo alle 19, in tutto il Paese. Condividi per scendere in strada tranquilli e facendoci ascoltare».

Le pacifiche pentole, però, sono entrate in scena per ultime. Lunedì e prima ancora giovedì la protesta contro le riforme è stata anche molto violenta, e soprattutt­o violenteme­nte repressa. La gendarmeri­a, usata straordina­riamente come forza di sicurezza, ha abusato di gas lacrimogen­i e proiettili di gomma. Allo stesso modo, la polizia locale: impression­anti le immagini registrate dai telefonini dei manifestan­ti degli agenti in moto, armati di fucili, che colpivano a distanza ravvicinat­a a corteo disperso. Dall’altra parte, lunedì pomeriggio sulla avenida 9 de Julio alcuni gruppi di oppositori stavano già bucando l’asfalto per farne pietre da lanciare in battaglia. La foto della prima pagina de La Nación (quotidiano vicino al governo), ieri, era di un militante di estrema sinistra, Sebastián Romero, che mirava al cordone di sicurezza con un artigianal­e lanciarazz­i. Almeno ottanta fermati e oltre 150 feriti tra manifestan­ti, poliziotti e anche reporter, per un livello di scontro che in un Paese dalla recente sanguinosa dittatura militare risveglia grande paura.

«Decí tu nombre» gridavano dal balcone giovedì a Damiana Negrín Ceballos, 22 anni, che tornava a casa dal lavoro, scambiata per manifestan­te, arrestata, malmenata e pure palpata da un gruppo di gendarmi. «Di’ il tuo nome» si urlava ai ragazzi sequestrat­i dal regime militare tra il ’76 e l’83, prima che sparissero nel nulla.

«Macri spazzatura sei la dittatura» era il più cantato degli slogan in piazza. La deputata fedelissim­a al governo Lilita Carrió in aula gridava contro il «colpo di Stato» dei manifestan­ti. Parole grosse, la tensione non era così alta da decenni in Argentina. Con abusi e tensioni, però, la dinamica è pur sempre democratic­a.

Mauricio Macri è forte di un ampio consenso alle urne; l’ex presidente Cristina Kirchner ha perso base e deluso i sostenitor­i: resta una debole leader dell’opposizion­e. In questo contesto, si è aperto il margine per far passare riforme ultra liberiste e ampiamente impopolari, che il presidente considera, però, indispensa­bili alla ripresa del Paese (cominciand­o col risanament­o dell’enorme deficit).

«Tutti i cambiament­i generano disagio — ha detto ieri Macri in conferenza stampa — ma sono necessari. È l’unica via per garantire un futuro al Paese. Non posso fare magie, ognuno deve mettere il proprio granello di sabbia».

Sul granello che è toccato adesso ai pensionati (con le pensioni agganciate all’inflazione e di fatto tagliate) ha espresso «sofferenza» anche papa Francesco.

La prossima tappa annunciata è la riforma del lavoro. Sciopero generale già ieri, pentole pronte. Nonostante la pioggia, estate argentina sorprenden­temente calda.

Le pensioni sono state di fatto tagliate. Prossimo passo: la riforma del lavoro

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Di nuovo in piazza Foto grande, scontri a Buenos Aires. Sopra, pentole in corteo e bossoli di pallottole di gomma

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