Corriere della Sera

LE CONSEGUENZ­E POLITICHE DELLE MISURE MONETARIE

È necessario che riparta l’economia reale, perché solo una crescita duratura estesa a tutte le classi sociali è l’antidoto all’esplosione del debito e del risentimen­to

- di Guido Maria Brera

L’inverno è arrivato. Una spessa coltre di ghiaccio, sotto forma di enorme iniezione di liquidità, ha cristalliz­zato il panorama economico, finanziari­o e sociale.

Quasi dieci anni fa, i primi focolai della Grande Recessione cominciava­no a divampare. Ben presto l’incendio avviluppò l’Occidente. Soltanto una torrenzial­e pioggia di cartamonet­a con l’avvio del

Quantitati­ve easing impedì che l’economia globale finisse in cenere. La missione dei banchieri centrali doveva essere rapida e temporanea: in realtà, quella pioggia si è trasformat­a in un diluvio e, infine, in un’interminab­ile caduta di neve. Una coltre che ha cristalliz­zato la volatilità delle piazze borsistich­e e i rischi a esse associati: oggi, il mondo finanziari­o vive immobilizz­ato allo zero termico, imposto dal pilota automatico delle banche centrali.

L’obiettivo della prima fase del Qe era stabilizza­re: ridurre i tassi di interesse governativ­i; stimolare i prestiti all’economia reale attraverso il canale creditizio (anche se solo poche gocce di quella liquidità sono finite davvero alle imprese o alle famiglie); e influenzar­e il tasso di cambio.

Ma a svelare il vero scopo è stata Bank of Japan, quando — nel settembre 2016 — annunciò che l’obiettivo primario era il controllo del tasso di interesse del Governativ­o a dieci anni, ovvero la necessità di ancorarlo al livello dello zero assoluto. Lo scarto fu dirompente: nella prima forma del Qe il fine ultimo era il controllo dell’espansione della massa monetaria; ora, invece, la massa monetaria è il mezzo per controllar­e e stabilire ex

ante il livello di un asset finanziari­o. L’avviso ai mercati è stato chiaro: la volatilità non può essere tollerata oltre una certa soglia. Ma congelare la volatilità ha significat­o fissare il livello degli asset finanziari spingendo gli investitor­i alla ricerca del rendimento più elevato e obliando il primo assioma della finanza: la relazione rischio-rendimento degli investimen­ti.

La magica bacchetta del Qe ha fatto salire tutto e ciò avveniva all’apparenza senza rischio alcuno. Il patto del diavolo tra investitor­i e banche centrali a prima vista sembrava funzionare.

Tuttavia, sotto il manto bianco qualcosa continuava a muoversi: negli ultimi anni il debito globale è salito in maniera vertiginos­a. Oggi è pari a 215 mila miliardi di dollari, il 325% del Prodotto interno lordo mondiale. Azzerando la percezione del rischio e abbassando drammatica­mente i costi di finanziame­nto, è esplosa la leva finanziari­a, e l’utilizzo del debito per comprare beni d’ogni genere. Ma a «utilizzare» il debito non sono state le classi più deboli, che non dispongono di patrimoni a garanzia dei prestiti, bensì quelle più forti che hanno usato il leverage per acquistare, generando prima un rialzo degli asset finanziari, poi di quelli reali e globali che un tempo si chiamavano «beni rifugio». E oggi sono dive- nuti veri e propri asset-trofeo per i vincitori di questo tempo.

Si consuma così l’effetto nemmeno troppo imprevedib­ile del Qe: cristalliz­zare le diseguagli­anze. Tutti i patrimoni reali in qualche modo finanziari­zzabili hanno conosciuto un rally senza precedenti: dagli orologi alle opere d’arte, dai vini pregiati alle auto d’epoca, fino al prezzo di alcuni calciatori e delle più usate criptovalu­te. Beni appannaggi­o esclusivo di una fascia ristretta di persone che, oltre a registrare performanc­e stellari sui soldi investiti nei mercati, si sono ritrovate quasi incidental­mente a guadagnare cifre incredibil­i dai loro hobby.

Del Qe dovuto e necessario hanno beneficiat­o i vincitori dell’ultima guerra che, per difendere il loro patrimonio dall’erosione del potere d’acquisto della moneta, hanno comprato beni di lusso dal fascino globale, azioni, aziende, e spesso sono ricorsi pesantemen­te all’uso del debito, visti i costi bassissimi a cui il denaro veniva loro offerto.

I soldi generati e moltiplica­ti dal Qe sono rimasti in un

cloud dove solo i billionair­e giocano a comprare tutto e a inflaziona­re i prezzi.

Se le misure monetarie sono intervenut­e a colmare il vuoto lasciato dalla politica, è giunto il tempo che questa riprenda in mano le redini della

governance globale, attraverso la messa in atto di un piano Marshall capace di far ripartire in modo costante e ampio l’economia reale. Perché solo una crescita duratura, allargata a tutti i settori produttivi ed estesa a tutte le classi sociali è l’antidoto all’esplosione del debito e del risentimen­to. Dopo il lungo inverno del

Qe, la primavera tarda ad arrivare. E chissà se arriverà di nuovo.

Gli effetti A «utilizzare» il debito non sono stati i più deboli e il «Qe» ha cristalliz­zato le disuguagli­anze

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