La lingua della tv
I motti di Mike, Arbore e le gag «È lui o non è lui?» di Greggio E poi la grammatica dei talent: quando la televisione accresce il vocabolario di nuovi termini
La linguista Della Valle Il piccolo schermo è stato un elemento unificante che ha fatto superare la schiavitù dei dialetti
Il linguista Antonelli La pubblicità ha avuto il merito di trasformare alcuni slogan in veri proverbi popolari
Cosa unisce due universi lontanissimi come Nunzio Filogamo e X Factor? Il loro contributo alla lingua italiana attraverso la tv, fenomeno che lo straordinario successo di Indietro tutta
30 e l’ode (stasera si concluderà alle 21 con la seconda e ultima puntata su Rai2) ha riproposto a milioni di italiani. Cioè la capacità del mezzo televisivo di arricchire la lingua con espressioni e modi di dire. Nunzio Filogamo è il padre dell’immortale «Cari amici vicini e lontani», nato alla radio col Sanremo ’52 ma poi utilizzato per decenni in tv. L’ultimo X Factor ha imposto, lo ha spiegato il nostro critico televisivo Aldo Grasso, l’icsfactorese: «spaccare», «percorso», «figata», «cazzoh», «superarsi».
Insomma, l’italiano dal secondo dopoguerra a oggi senza tv sarebbe impensabile. Spiega la linguista e lessicografa Valeria Della Valle: «La tv ha influito positivamente sull’italiano soprattutto all’inizio, come elemento unificante della lingua per superare la schiavitù dei dialetti. Poi ha inserito termini e locuzioni. Il “Niente po’ po’ di meno che” inventato da Mario Riva per indicare l’arrivo di un ospite illustre è stato poi sfruttato come “grande novità”. Un fantastico produttore è stato Mike Bongiorno, a partire da “Allegria” passando per “Esatto”. Era di cultura americana, tradusse letteralmente il significato di “ok”. Prima dei suoi quiz nessuno lo usava. Poi “Colpo di scena”, “Fiato alle trombe” e “Quale busta, la uno, la due o la tre?”». Tutto questo, sostiene Della Valle, «è sintomo di vitalità dell’italiano, della sua capacità di reagire all’omologazione, alla banalizzazione. Esistesse un premio speciale, lo darei ad Arbore e al suo gruppo per la ricchezza di proposte, con gratitudine per aver spiegato ridendo che “i film-s” non diventano plurali inglesi nella nostra lingua, basta “i film”».
Ad Arbore e alla sua banda dobbiamo Indietro tutta!, amatissimo dal giornalismo e dalla politica, «Ma la notte no», «Vengo dopo il tg», «La vita è tutta un quiz», «Ragazze Coccodè», i «Separati in casa» di Pazzaglia (prima non esisteva), «C’è chi c’ha», il fortunato «Cacao Meravigliao»: nel 1987 il compassato settimanale Epoca uscì con un inserto speciale intitolato «Epocao» col glossario di Arbore, Frassica e compagni. Le espressioni sgorgate dalla tv sono sterminate. Topo Gigio creò «Ma cosa mi dici mai?», Febo Conti «Chi sa chi lo sa», Peppino De Filippo-Pappagone «Ecque qua», Gianni Minà escogitò «Il bello della diretta» adattabile a mille occasioni, Casa Vianello sintetizzò le ripetitività matrimoniali con «Che noia, che barba, che noia…», Raffaella Carrà significa «Carrambata», una sorpresa spettacolare. Corrado Guzzanti tirò fuori «Quelo» e «La seconda che hai detto», Ezio Greggio a Striscia la notizia ha brevettato «È lui o non è lui?». Materiale espressivo frutto di un incontro tra fantasia, lingua, cultura diffusa, costume, mode commerciali, sentimenti, divertimento.
Per Giuseppe Antonelli, docente di Linguistica Italiana all’università di Camerino, «la televisione è stata un potente mezzo di italianizzazione in una società ancora fortemente dialettofona. Spesso si cita
Non è mai troppo tardi ma la vera grammatica condivisa è stata quella implicita nel mezzo televisivo, nella lingua utilizzata. Aggiungerei ciò che è giunto con la pubblicità, per esempio “Non è vero che tutto fa brodo”, da tempo storicizzato e che ha ormai pari dignità di un proverbio popolare e dimostra la capacità di profonda penetrazione della tv anche negli strati più popolari». Ultimamente, afferma Antonelli, le cose sono cambiate: «Umberto Eco distingueva tra Paleo tv, fino al ’76, e poi Neo tv. L’attuale Neo tv non riesce più a produrre termini o vocaboli ma si limita a registrarli e a riproporli, come è accaduto in X Factor e come ha raccontato Aldo Grasso. La tv sembra aver abdicato a un ruolo storico, limitandosi a distribuire dallo schermo materiale gergale ormai già sbiadito».