Le certezze perdute e il rischio Far West
Certezze nella vita ce ne sono poche, nello sport ancora meno. Maria Sharapova era dopata o è stata solo distratta? E Chris Froome è soltanto un ciclista che lotta contro l’asma? E Justin Gatlin? Il campione del mondo dei 100 metri, già squalificato due volte per doping, non potrebbe scegliersi meglio i collaboratori? Insomma, non si capisce più chi fa le cose per bene, chi bara pesantemente e chi pecca di semplice leggerezza. E a questo punto, il problema sembra riguardare più le guardie che i ladri. Quali certezze dà oggi l’antidoping? Ci si può fidare? Perché, siamo onesti, se dovesse venir fuori che Gatlin, forse l’atleta più controllato della storia da quando nel 2010 tornò alle gare, non ha mai smesso di assumere sostanze vietate, i primi ai quali chiedere chiarimenti sarebbero i controllori dell’Usada e della Wada (le agenzie antidoping americana e mondiale). Oggi l’antidoping è un business, ha un fatturato importante, ha forza, potere, ma se si dimostra inaffidabile la faccenda diventa complessa e pretendere di separare gli onesti dai disonesti impossibile. Lo sport russo è stato fatto a pezzi dopo le rivelazioni di Grigory Rodchenkov. La Rusada (l’agenzia russia) è diventata una specie di associazione a delinquere ma non è che l’Usada, gli americani, possano fare tanto i fenomeni visto quello che succede e i sospetti che ormai viaggiano più veloci dell’Usain Bolt dei tempi d’oro. Bisogna sperare che Gatlin riesca a dimostrare d’essere innocente. In caso contrario varrebbe tutto e il contrario di tutto. E lo sport diventerebbe un Far West senza regole né leggi. E senza alcuna certezza.