Da Rajoy a Inés, tutti alla sfida catalana
In cima ai sondaggi la candidata di Ciudadanos, sola donna (unionista) in corsa per la presidenza
C’erano tutti nella notte di Barcellona, chi con la voce, chi con l’immagine, chi di persona. Gli indipendentisti: Junqueras dal carcere, l’esule-turista Puigdemont da Bruxelles, i rivoluzionari della Cup. E c’era il premier Rajoy che promette altre manganellate, il socialista Iceta che si propone come riconciliatore, e Inés Arrimadas, giovane andalusa, in testa ai sondaggi con la sua linea antisecessione.
Rimmel brillante, capello corvino, abitini disegnati addosso, Inés Arrimadas potrebbe essere un’attrice e invece è il ciclone che sta scompaginando gli equilibri politici spagnoli. È un po’ la Boschi iberica, una che quando va a parlare al microfono, prima le misurano i centimetri del tacco e solo dopo cominciano ad ascoltarla. Troppo bella per non bucare il video, eppure anche troppo aggressiva e suadente, per non mettere tutti in riga.
Tra i candidati che domani si presentano per guidare il governo catalano fuori dalla sbornia indipendentista è quella che potrebbe fare il salto più importante guadagnando più voti. Forse addirittura piazzarsi prima nel gruppo unionista. Lo chiamano il «Fattore Inés».
L’uomo che l’ha scoperta e spinta, il segretario generale di Ciudadanos, Albert Rivera, gongola. Ora il partito arancione è la stampella di destra, giovane e pulita ma pur sempre stampella, del colosso Popular del premier Mariano Rajoy. Se Arrimadas stracciasse il candidato Pp a Barcellona, anche Rivera a Madrid potrebbe alzare il prezzo con il premier. E siccome Rajoy sopravvive in minoranza, il risultato di Inés potrebbe scatenare esplosioni a catena.
Arrimadas, 36 anni, è una candidata post ideologica, post femminista, post politica: un animale da dibattito, a suo agio negli interventi in
Parlament come in tv, capace di giostrare tra destra e sinistra con la naturalezza con cui aggiusta il ricciolo. Paga ancora una certa rigidità nei modi e nell’eloquio, forse dovuta all’età o forse alla sua formazione da avvocato. Non ispira simpatia istintiva, non gioca con l’umorismo, è seria e vuole esserlo. Qualcuno la definisce di plastica, ma quando gli avversari le danno della «marionetta che ha imparato quattro slogan a memoria» lei ribatte senza stizza, quindi efficacissima: «Si abbassa agli insulti personali? Che pena, non ha altri argomenti?». E lo fa, da buona perfezionista, indifferentemente in spagnolo o in catalano. Lei che è andalusa di nascita e di studi e da oltre 10 anni vive a Barcellona.
Unica donna candidata alla presidenza fa parte della nuova genia europea di chi fa politica atteggiandosi da anti casta. «Non sarò parlamentare per sempre, rientrerò nel settore privato». È arrivata a fine campagna senza voce, ma si dice sia stata sua l’idea del nuovo marchio che unisce in un cuore le tre bandiere: catalana, spagnola ed europea. Sua l’idea di mettersi in concorrenza non solo sul terreno del patriottismo con la destra, ma anche su quello del Welfare e della politica di genere con la sinistra. «Certo, le donne faticano ad essere al vertice delle imprese e delle professioni — ha spiegato in un comizio —. Quanti soldi hanno investito gli indipendentisti negli asili nido? Zero. Quanti soldi investirò io se sarò eletta presidenta? Tutti i milioni che Puigdemont usava per promuovere l’indipendenza all’estero aprendo ambasciate».
Con l’etichetta del liberismo di partito sul petto, ha avuto il coraggio di fare comizi nella cintura rossa di Barcellona, di dire che «la coda all’ufficio di disoccupazione la fanno indipendentisti e non indipendentisti ed è il lavoro la vera emergenza». Non sarà presidenta perché ci sono troppi veti incrociati sul suo partito. Ma Inés è ormai sbocciata e resterà a lungo nella politica spagnola.
Veleni Gli avversari le danno della «marionetta che ha imparato quattro slogan a memoria»